Li aspettavamo? E come no? Dal 2001 a oggi fanno tre anni. Tanti per una band prolifica come i 5 olandesi, ma dopo 25 – dico, 25 – anni di carriera (di prossima celebrazione ufficiale, a partire da Amsterdam il 19 e 20 del mese con molti ospiti, poi in Francia per qualche data con una formazione di 10 membri, per finire a Bruxelles con un evento all-day ancora da definire) è ben comprensibile come non si viva di soli studio album – cosa ampiamente dimostrata dalla militanza sociale, di squat come di strada, che ha sempre contraddistinto la loro attività. E allora tre anni sono anche pochi se ci cimentiamo a enumerare un po’ tutti i progetti “altri” in cui Terrie, Andy, Katherina, la giovane new entry Rozemarie (al contabbasso, in sostituzione del riccioluto “zio” Luc al basso) e G.W. Sok sono stati impegnati: dalla Ex Orkestra all’organizzazione dell’annuale festival di Wels (in Austria), alle collaborazioni soliste, fino alle incredibili esplorazioni musicali nel Corno d’Africa (che emergono in questo doppio album – quando si dice “prolifici”…) gli Ex sono di quei gruppi cui vecchiaia ed esperienza portano saggezza anziché ruggine operativa.
Doppio album, dicevamo. Elemento che accresce la curiosità – fermo restando Steve Albini al banco di registrazione – su questo dopo-“Dizzy Spells”, l’album che li aveva visti relativamente più morbidi, o quanto meno più vicini a una struttura compositiva più riff-based, se non proprio inclini alla chiusura del “cerchio-canzone” – anche se mai sul punto di abiurare la loro formula punk-jazz amica di paurosi crescendo ritmici e sonori non estranei all’estetica di certo rumore free. Lo diciamo subito: “Turn” è un’inversione di tendenza abbastanza netta, il ritorno a un’intransigenza sonora che sa tutta di lotta, denuncia, voglia di riscatto, che intende riabilitare la porzione suo malgrado silenziosa – e debole – dell’umanità, per darle quanta più voce possibile.
Stavolta in tale porzione non ci sono più solo le fasce emarginate della società occidentale, ma anche quei popoli fatti oggetto di recente visita da parte dei 5 olandesi. Ecco dunque ‘Getatchew’, tributo all’omonimo – l’anagrafe dà anche il cognome, Mekurya – sassofonista etiope dagli anni 50 fino ancora ad oggi (e come altrimenti ne saremmo venuti a sapere?!); ecco ancora ‘Theme from Konono’, cavalcata afro-punk (avete letto bene: non “funk”) costruita su un riff dell’omonima band (il cui moniker si completa con “n. 1”) congolese, e ‘Huriyet’, “libertà” in eritreo, sorta di ode alla – relativamente – recente indipendenza di questo popolo e alla pacifica convivenza inter-religiosa che lo ha sempre contraddistinto.
Tutti brani che, come già le precedenti divagazioni percussive di Katharina lasciavano presagire, si avvalgono del patrimonio strumentale africano, accentuando l’ispirazione free-jazzistica; tutti brani che, nella loro opera di coagulazione attorno al comune denominatore della protesta, mirano all’accerchiamento (‘The Idunno Law’, ‘Confusion Errorist’) di quell’altra porzione di umanità, quella potente e arrogante, quella che combatte guerre di finta liberazione e che si dedica al neo-colonialismo (e, in proposito, il focus sull’Africa appare ancor meno casuale e non solo musicale), spesso – e volentieri – su presupposti di cieca e deliberatamente conveniente ignoranza; tutti brani che si accatstano l’uno sull’altro secondo il consueto, organico “magma” di suoni, senza singoli né hit a svettare. Questa è la Ex-music: non solo ascolto, ma anche un lungo e approfondito tunnel di riflessione…
Autore: Bob Villani