Poco più di 20 anni Andrew James Brooks. Non è certo l’unico nel panorama a poter beneficiare di un’età ancora carica di vigore e fertilità creativi, chiaro. Non tutti però utilizzano bene tali “doni”, e ancor meno sono quelli in grado di disporne con il senso di equilibrio di una mente più matura.
Il punto è che di Brooks musicista si parla da quando di anni ne aveva 16. I conti tornano: giovane età ed esperienza sono possibili. Ma è anche questione di genio, di talento, come “Red Tape” – secondo album dopo “You, Me and Us” e una miriade di singoli – conferma. E il genio non sta solo nella materia sonora in senso stretto, ossia nell’azzeccare la stratificazione giusta di sample e beat, ma nella capacità di improntare il complesso di questi a un’estetica, in modo così fedele ed evocativo da materializzarla come qualcosa che non ci possiamo scollare dagli occhi quando il CD fa il suo ingresso nel lettore, anche facendo a meno della grandiosità, dell’ambizione e degli eccessi che fanno di un disco un “manifesto” di data estetica. “Red Tape” è “solo” un grande album. Equilibrio, si è detto, non eccessi. In fondo è anche meglio così, pur se venderà – e se ne parlerà – di meno. E’ il momento di preferire i ritratti nitidi e rispettosi delle proporzioni delle parti a quelli deformati dall’enfasi su una sola di tali parti.
Ciò che il pennello di Brooks riporta su tela è un decadentismo moderno e vagamente futurista che sembra trovare in se stesso sia giustificazione che necessità, che non celebra né condanna se stesso, ma rivendica semplicemente il proprio diritto ad entrare nel novero dell’umana diversità, come se l’omosessualità o il sado-masochismo – puntualmente rappresentati nel corso dell’album sullo sfondo di una morbosità fumosa, perversa, malata – fossero dimensioni naturali dell’esistere, come essere biondi o avere la pelle scura.
Tale rappresentazione non è univoca e stilisticamente perentoria, ma riesce a ricomprendere tutte le sfumature della citata dimensione. ‘Accidents’ è il tunnel d’ingresso verso di essa, un rito inziatorio scandito da percussioni muscolose e multiformi, riff rock, rasoiate di tastiere; ‘Restoration’ è già il cuore del vizio: una voce allusiva e soul accompagna dritti al centro del cerchio di fuoco, un battito di mani in tempo house house incita a cadere nella tela della tentazione; ‘Roxxy’ si lascia alle spalle il fuoco del peccato per avventarsi su gelide tastiere 80s dance-wave (le stesse che, più dolcemente, possono fare la fortuna di un Milosh).
Sembra il principio di un rientro nei ranghi, verso una sorta di “redenzione” – anche se il beat di ‘Bedbugs’ picchia, non veloce, ma duro. Ma nulla, il tourbuillon della lascivie riprende solerte e inesorabile col garage-rave di ‘Enormous Members’ Club’, e si trasferisce, con la distorta e industrial ‘Man-Size’ (cover di PJ Harvey) nel retro di una fabbrica dismessa adibito a palestra di torture.
Il tenore qualitativo è alto, decisamente. Al di là delle immagini efficacemente evocate, “Red Tape” è un disco che si balla, anche pensando a quello scenario. La techno di ‘Burning Buxx’ e ‘Tell Somebody About Us’ quasi sfigurano rispetto a ciò che li ha preceduti – ma in parecchi altrove svetterebbero come “singoloni” – e a ciò che segue: ‘A Little Bit of Time’, disperata invocazione d’amore (Antony dei Johnsons alla voce? le note difettano di dettagli sui guest vocalist dei brani) tra scintille cyber, house classica, spunti di hammond e archi negli arrangiamenti. Forse il brano migliore del disco, forse no.
A giocarsi questa “partita” c’è anche ‘Do the Math’: glitch-house crackata e deviante, nuovo invito al peccato – vi figura lo stesso contributo vocale di ‘Restoration’ –, peraltro già uscito come singolo (e qui collocato come penutlima traccia – visto mai?). Laddove la conclusiva title-track non è che il ripercorrere l’iniziale tunnel a ritroso, sfatti, sudati e allucinati per l’esperienza appena terminata. Pareva non se ne dovesse uscire, risucchiati da schiere di legionari della depravazione. E invece non c’era che il solo Brooks. Scrittura e produzione: capito il talento?
Autore: Bob Villani