Daniel Bejar, ricordate? Le cronache di un anno e mezzo fa, sospinte dalla lucentezza del precedente “This Night”, avevano finalmente fatto luce su questo raro – nel panorama globale – progetto di rielaborazione creativa del songwriting bowiano, ma è anche, forse soprattutto, con la Vancouver-all-star-rock-band a nome New Pornographers che Bejar aveva cominciato a far parlare di sé – mai quanto la rossa Neko Case alla voce, però…
E comunque, “This Night” non era un album come un altro, né un casuale parto creativo. L’inevitabile sfasamento cronologico, non dico tra la realizzazione di un album e la sua immissione sul mercato, ma tra il maturare di una certa linea stilistica e la sua effettiva percezione da parte del pubblico, può spiegare – e anzi dovrebbe rendere ben più frequenti – il gap tra l’ascolto di “Your Blues” e le aspettative che il predecessore aveva – non senza una certa giustificazione – alimentato. Il punto cruciale è questo: in un’ottica neanche strettamente commerciale, Bejar ben avrebbe potuto capitalizzare la “breccia” che aveva saputo fare nel muro della critica musicale, pur senza rientrare in alcun filone trainante (anzi, con un riferimento né attuale né al centro dell’attenzione). Evidentemente però – e senza che potessimo sapere nulla – la “missione” di Daniel in quei residui di scintille rock stava compiendo i suoi ultimi passi.
Ecco allora, di questo nuovo episodio discografico, il forte carattere di “dismissione” dal rock. La line-up dei Destroyer, elastica e caratterizzata come tendenziale estensione delle necessità creative di volta in volta manifestate dal “principal”, si è contratta a tre soli elementi, impegnati quasi esclusivamente su un Roland e un Kurtzweil. Due tastiere, e la voce di Bejar, più qualche sporadico vagito di chitarra acustica e percussioni. Filologicamente, sembra quasi un tornare a prima di “This Night”.
L’unico aiuto che nella circostanza può darci, allora, il vecchio album, è quello di tenere i Destroyer decisamente fuori dal novero delle synth-bands in forte odor di new-wave e anni 80. Ciò che emerge in “Your Blues” è il netto prevalere del “regime” sonoro delle tastiere, che assecondano, in tutte le loro sfumature, la già consolidata inclinazione di Bejar a volgere “indietro” il proprio sguardo, anche se stavolta non più solo verso “duca bianco” (nella fase, stavolta, più marcatamente “lirica” e glam), ma anche verso una tiepida ricercatezza progressive dei dettagli, che riesce a non arenarsi in barocchistiche secche. E lo sguardo di Bejar non è che la sua voce, tanto perentoria nel suo incedere quasi narratorio quanto precaria nell’attestarsi su tonalità alte, quasi sull’orlo di un cedimento. E’ proprio tale funzione “espressiva” – voce come veicolo di parole – a spiegare, della voce, una presenza in primo piano – che ridimensionano l’effettivo peso complessivo delle tastiere – non giustificabile, altrimenti, in una chiave di lettura improntata alla “qualità”.
Epperò, note le doti del musicista della British Columbia, riesce difficile muovergli accuse inequivocabili di manierismo o di affannoso inseguimento di un qualche modello. Bejar/Destroyer sta cercando – e ritengo che il processo sia lungi dal concludersi – di dipingere la sua personale malinconia, coi colori sbiaditi di un mondo, vagamente decadente, forse già scomparso. Ciò che non va è la sensazione di assistere a un provare e riprovare, troppo calligrafico – benchè non narcisistico –, che toglie luce alla consistenza effettiva dei brani. Che ricorderete, dopo una decina di ascolti, in numero ancora risibile.
Autore: Bob Villani