Attore, certo poco conosciuto. Ma anche musicista (idem): chi l’avrebbe detto? Vero è che in “L’Uomo Senza Passato”, la bellissima, ultima pellicola di Kaurismaki di cui è stato protagonista, Markku Peltola in qualche modo si ritrovava ad aver a che fare con la musica, anelito di vita con cui ricostruire la propria identità orfana di un passato perso nelle viscere della conoscenza a seguito di un’aggressione quasi mortale, portando una scintilla di energia nel complessino dell’Esercito della Salvezza (“avete mai pensato di fare musica ritmica?”, dice loro, tra lo spiazzamento di chi è in sala, come fosse la domanda più naturale da fare) che suona nelle baraccopoli del porto di Helsinki, dove, in miseria ma con dignità, Peltola è costretto a ricostruire il suo futuro.
E ritmica è anche la musica di questo inatteso album, anche se non certo nel senso di uno sfrenato rock’n’roll: il segreto di “Buster Keatoning Ratsutilalla” (finnico, lasciate perdere) sta nel riuscire a dare dinamicità a un contenuto melodico e, principalmente, discreto. E, sgombrato il campo dal rock, cosa si può immaginare che provenga dalle fredde e piatte lande della “terra dei laghi”? Oltretutto (e qui sforiamo in campo etno-geografico) l’elemento finlandese, per chi non lo sapesse, ha ben poco da spartire, quanto a lingua-cultura-carattere, con i vicini popoli scandinavi, cui spesso vengono frettolosamente associati.
Meglio evitare congetture al buio. Il punto è che anche l’ascolto non fornisce “immagini” precise. Peltola e soci potrebbero essere chiunque, suonare dovunque e in qualunque tempo queste melodie che, sotto una scorza di moderato struggimento, nascondono uno humour paradossale. E’ questo l’effetto che scaturisce dal lasciare al violino (Pike Kontkanen) una guida che non compie mai brusche sterzate, ma preferisce seguire traiettorie circolari, armoniose (‘Sahkosatula’, ‘Lyijysulka Sulaa’, ‘Pienet Pelinappulat’). Il resto dell’orchestra asseconda timidamente questo placido percorso, si trastulla quasi stesse improvvisando sulle scene di un moderna pellicola muta, senza però mai prendere il sopravvento per un posto di rilievo sotto i riflettori.
Guai però a chiamarli comprimari. Il tempo di lasciarli esprimere più compiutamente, ed ecco che la dolce malinconia cambia pelle e diventa ironia prima velata (‘Notskilla’), poi, con l’apporto degli ottoni, prevalente ma pur sempre sottile, mai ingombrante (‘Ou-Ou-Ah’, ‘Mexico’). E non è finita. ‘Boogieman’ introduce qualche nuvola drammatica, mentre la slide guitar di ‘Vasynyt Susi’ porta il country fin su al circolo polare artico.
E cosa dire poi delle “fanfarate” quasi balcaniche di ‘Kumma Voi Olla Mut Ei Koskaan Kylma’ e ‘Lummies’, se non rammentare che i finnici, pur se biondissimi, sono alla lontana imparentati con i turchi? O delle melodie della lunga e conclusiva ‘Alaskan Avotulet’, sorta di summa di quanto ascoltato nei precedenti tre quarti d’ora e compimento di questo meraviglioso sogno nordico a occhi aperti? Procurare, ascoltare, consumare. Altro che consigliato: obbligato.
Autore: Bob Villani