Quant’è difficile andare, noi ascoltatori, alla stessa velocità con cui la “scienza sonora” si evolve – quando non partorisce nuove specie. Gorge Trio: anni che ho il loro nome sulla bocca e all’ingresso delle orecchie, e mai un ascolto decente – per attnzione. Prontezza nel seguire, dicevo: vero è che nulla ci impedisce di andare a recuperare i vecchi album del trio statunitense, probabilmente “attualissimi” (quale band non lo è?… scherzo… non so se sia questo il caso), ma l’ascolto “contemporaneo” è sempre cosa diversa da quello “differito” – a meno di non ipotizzare un mondo che giaccia in stato di “fermo immagine storico” dal tempo di uscita del disco di cui si vuol parlare –, vuoi per il diverso contesto in cui avvengono gli ascolti, vuoi, nel secondo tipo di ascolto, per l’inevitabile confronto con quanto creato dopo dagli stessi autori del disco “x”.
Vi sto confondendo le idee – temo –, come al solito. I Gorge Trio (o almeno i suoi componenti in loro precedenti e seminali “incarnazioni artistiche” come Colossamite, Iceburn e Sicbay, e in altre, contemporanee e parallele, come Flying Luttenbachers) sono, se non i padri, tra i progenitori del jazz-core da una decina d’anni. Ciò che rende impegnativo presentarsi alla prova dell’album con l’obiettivo di un contenuto quanto più – stilisticamente – inedito possibile.
Sbaglia quindi chi si aspetta un disco “formattato” e caratterizzato in maniera netta, come può essere il geometrismo esasperatamente fisico degli Zu. E’ una dimensione di eterogeneità a spiccare in questo terzo album (quello della verità, si dice…). I brani – 4 dei quali registrati in Italia con Fabio Magistrali (e Marco Taglioli) – spesso non superano il minuto (risultato della loro relativa numerosità, 22 per poco più di mezz’ora), non hanno soluzione di continuità tra di loro, soprattutto non hanno (non sembrano avere?) un “marchio” stilistico riconoscibile e trainante. Da astratte successioni di rintocchi pianistici i tre Gorge (più tre ospiti nella circostanza) sono capaci di passare, in un batter d’occhi, a furiose accelerazioni (in cui l’elemento “core” prevale su quello “jazz”: chitarra batte fiati 2-0 in line-up…), in assenza, tuttavia, di un filo conduttore, un tema (“avanguardia noise-jazz”? no, neanche quello…) anche solo lontanamente apparente.
Insomma, il Gorge Trio ha probabilmente fatto un passo avanti e preso in qualche modo le distanze dagli altri “colleghi di genere”, e forse anche da loro stessi, ma sul piano della fruibilità – nel senso di attenzione, studio, assimilazione più che di puro e semplice “consumo” – le cose, francamente, non sembrano funzionare granchè. Si tatta di vedere dove – oltre che “verso” dove – tale passo sia stato compiuto…
Autore: Bob Villani