Daaai, quanto cacchio di tempo che non avevo per le mani un disco dell’etichetta transalpina, l’unica, insieme alla non più Pandemonium, che per anni ha cercato di tenere testa a chi ha deciso di consegnare le sorti della Francia musicale a una schiera di figure mitologiche metà uomo metà tastiere. Che è peraltro la figura a cui potremmo ricondurre Shane Aspegren e Lori Sean, dal Nebraska il primo, da Parigi il secondo. Una stessa anima splittata in due corpi, che il caso ha voluto riunificare.
Uomini-tastiera anche loro, dicevamo, ma niente a che vedere con i signori della disco, da Air e Daft Punk in poi, cui con acrimonia alludevamo e con cui chiudiamo per incompatibilità con la presente materia. I Berg Sans Nipple danno l’impressione – avendoli anche già visti dal vivo – di certosini artigiani della tastiera. Non semplici surrogatori di musica propriamente suonata, né paradossali esasperatori di “sciocchezze” eighties, né disinvolti electro-clashers in cerca di effimera fama, Shane e Lori rifuggono dai luoghi comuni dell’estetica di tale strumento per farne una sorta di pietra filosofale musicale, con cui riprodurre, sintetizzandole, varietà strumentale e stilistica, senza l’autocompiaciuta ricerca del virtuosismo ma con la sincera dedizione di chi resta meravigliato delle sue stesse creazioni. La dimensione dello studio, oltre ai contributi pervenuti da altri musicisti (tra cui Mike Mogis dei Bright Eyes) ha poi reso possibile anche l’utilizzo di altri strumenti – tra cui una batteria atigianale degli anni 20. Il sentire, ma anche il vedere, insomma, è quello di una band in sintonia con lo spirito indie-rock che piace a molti di noi.
“Form of…”, primo vero capitolo discografico del duo (preceduto dalla soundtrack di “Marie-Madeleine”, breve film realizzato da Aspegren), è un poliedrico saggio di fertilità ispirativa, in cui convivono tanto l’esplorazione di regioni musicali conosciute sotto altri supporti sonori (le manifestazioni etno-percussive della breve, iniziale title-track, e soprattutto di ‘A Free…’) quanto la ricerca di una sintesi tra una linearità dreamy-cantilenante e un aspro rumoreggiare di suoni, con un occhio sempre ben rivolto all’elemento ritmico. Non estraneo al duo, come la soundtrack testimonia, è anche un certo afflato cinematografico “minore”, come se, più che un film, potesse essere un documentario muto la forma visuale inseguita, nel sonoro, da Shane e Lori. Potremmo anche parlare di post-rock, visto che siamo ancora a diguno di “etichette”, ma vale più la pena sapere che per 50 minuti i vostri immaginari movimenti non andranno in nessuna, precisa direzione.
Autore: Bob Villani