Beata ignoranza? Vorremmo difenderci così, magari, quando dalla nostra informazione spunta qualche lacuna, e, certo, con questa feature dalla nostra ci risparmieremmo la certosina pazienza di imbastire architetture di parole per descrivere un disco per cui la gente comune spende non più di 2 o 3 frasi. Ma abbiamo voluto tanto questa bicicletta dell’indie-rock, di scrivere, di esprimerci, e adesso ci tocca pedalare. E pazienza se non sapevamo che i DAT Politics fossero francesi. Sarebbe invece più utile l’ascolto dei precedenti episodi di questo trio per parlare di “Go Pets Go”.
Un po’ di voci sono giunte però, e “Go Pets Go”, nel confermarle, garantisce ottimi strumenti per dire qualcosa di compiuto. Qualcosa che, già dal nome dei protagonisti, faccia drizzare per prime le antenne di tutti coloro che in un album cercano una sorta di moderna – elettrica o elettronica – “divertimentalità” più che un coerente rigore concettuale. Dai Kraftwerk ai !!!, dai Gang of Four ai Trans Am è tutto un mobilitarsi di dance-punkers, new-wavers e – caso in specie – 80s electro-nerds.
“Go Pets Go” è pane – ma direi un pasto completo – per i denti di questi ultimi: moog, synth, casio e compagnia elettronica varia a strafottere, secondo uno schema al contempo futuristico e naif, ma, prima di ogni cosa, saturo di nonsense e – perché no? – autoironia. Chiavi di lettura indispensabili, altrimenti sarebbero sonori schiaffoni per i tre transalpini. Occorre invece conciarsi per le feste per godere di questo party tecnologico (e, come da titolo, “zoologico”, visto l’utilizzo di registrazioni di rumori e versi di insetti e animali domestici). Che inizia, propriamente, con la house e la vocina accelerata di ‘This Way’, ottime per fare di un dancefloor un circo quando si è già oltre la terza consumazione.
Dopo di che non c’è granchè da ballare, e ci si può chiedere quale sia il contesto migliore per l’ascolto di “Go Pets Go”. Ai nerds di cui sopra forse un tale quesito non interessa granchè, me l’inide-rocker medio vorrà pur sapere come arrivare fino alla traccia 12. Forse nel mezzo di un live-set (ben più duro da deglutire, come la traccia video in chiusura suggerisce), altrimenti si può anche saltare di palo in frasca e segnalare gli spunti migliori: il “this is not America” come coro di ‘No Fairytale’, le melodiche spigolosità di ‘Cat Polk’ (eh sì, perché, pur in tutto questo frastuono, l’attitudine da camicia di forza dei DATs richiede sempre qualche motivetto deficiente da mandare negli ampli), il videogame-core (e lasciamo perdere le ditte produttrici da ogni indebita citazione…) di ‘Yah-hoo Tuning’. E alla traccia 12 ci si arriva, tranquilli, ma dovessimo varcare i 40 minuti sul display sarebbero c….
Autore: Bob Villani