Chicago punk-rock. Una faccenda che non è mai stata punk-rock al 100%, e che alla thick si prendono la briga di ricordarci. Punk-rock nella Windy City ha sempre avuto un significato più ampio e contaminato che altrove. In qualche modo il noise, il post-punk e fazioni ancor più estreme del rock ci sono sempre state di mezzo. E il tasso di energia, di emozionalità ne ha quasi sempre risentito in maniera incrementale.
Così vanno le cose anche per gli Haymarket Riot, e lo dicono anche i nomi – prestigiosi – coinvolti nelle registrazioni di “Mog”, da Steve Albini a John Congleton dei pAperchAse (sì, va scritto così). Non proprio dei punk-rock-types da capo a piedi, almeno al giorno d’oggi. Perché – e apro la mia ormai solita parentesi – il punk è questo, oltre che un genere, una vera e propria fase della vita di pressochè chiunque suoni rock, e non solo (anche qualcuno nei Tortoise ha un passato del genere, per capirsi), una sorta di scuola, di apprendistato che va comunque fatto, e che, in molti casi, resterà come stadio di maturazione, nell’ambito di uno stile mutevole e soggetto alle istanze evolutive proveniente da esperienze più complesse e, in un certo senso, “mature”.
Ciò premesso, Kevin J. Frank e soci sono probabilmente in quella fase – e in quel contesto – della vita in cui la lingua musicale parlata non può che essere quella. Epperò, dal punk, gli Haymarket Riot traggono soprattutto linfa attitudinale più che, strettamente, il sound. Quella linfa che permette di aprire i ricettori creativi verso quegli altri fenomeni che – chi più chi meno direttamente discendente dal comune denominatore punk – determinano, in maniera riconoscibile da altri contesti geografici, l’essenza dell’indie a stelle e strisce: l’hardcore, nella sua varietà prettamente post (i cambi di tempo, ma anche i cori di una ‘My Donuts, God Damn!’), l’emo (quello meno radiofonico, più “lievitato”), e anche certe muscolarità noise e math.
Lo so, potremmo star parlando di chissà quanti altre band in questo momento, ma certe cose, dette e stradette, difficilmente danno nuovi frutti. E poi non tutti nascono Black Eyes…
Autore: Bob Villani