Fratelli Gallagher? Mai sentiti. Da queste parti ultimamente risuona molto di più la coppia di Nourallah Brothers. Che esistevano davvero, artisticamente, con questo moniker, ma che di recente si sono presi una vacanza l’uno dall’altro, con due album per Faris e uno per Salim. Scazzi fratricidi? Chissà. Di informazioni in merito ai loro lavori di coppia non disponiamo. E anche “Problematico”, tanto per entrare come di consueto nelle vicende di chi scrive, è abbastanza rappresentativo di come il suo inserimento nei “compiti per casa” rappresenti già una conquista, in un mmoento in cui la selezione tra i dischi da trattare diventa una scure implacabile per dischi, come questo, che non si fanno annunciare da particolari squilli di tromba.
Ma l’album in questione porta con sé un altro titolo di rappresentatività, ossia la circostanza di come le sorprese – piacevoli – siano sempre dietro l’angolo, rendendo ogni disco meritevole di un “assaggio” – poi, è chiaro, il gradimento, eventuale, è faccenda successiva. D’altra parte, quali sono le aspettative che ci attendono al varco di un simile ascolto? Un nome arabo, ok, ma poi? No, siamo fuori strada. Ci dicono che Faris viva a Dallas, ma è un dato che ha poco a che vedere coi contenuti di “Problematico”. Disco che, comunque lo giri, le sue note positive ce l’ha.
Il primo è nell’ottica strettamente lavorativa: si tratta infatti di un ascolto “facile” (altro che “problematico”!), non come definibilità, ma per la sensazione di star ascoltando qualcosa che ci è stato prestato da un amico che non ha voglia di badare a ciò che può andar forte per il momento, né, in generale, alle etichette di stile. E’ l’oggetto del mio lavoro, in questo preciso momento che gira nel lettore, eppure ha tutte le fattezze dell’ascolto “volontario” (merce rara, come accennato, di questi tempi). C’è molto di “classico” in tutto ciò, come se appunto l’oggetto di ricerca per Faris sia nient’altro che il confezionare pop songs godibili, e nulla più. E godibili lo sono, accidenti.
Ferme restando le inevitabili – probabilmente involontarie – somiglianze: l’iniziale ‘You’ve Got It Made’ introduce una voce indolente e nasale che solo in David Byrne può trovare adeguato paragone, mentre la successiva ‘Will We Ever Know Why?’ sembra essere, con i suoi echi vagamente tex-mex, il maggior indizio della residenza di Faris. E ancora, il frullatore compositivo di Faris è in grado di servirci del buon 60s pop così come non avremmo mai pensato di sentirli, così come ‘Sick on the Escalator’ chiama in causa la raffinatezza vocale di un David Bowie. Picchi di riconoscibilità su un tappeto che sembra essere quello, magari, di un Simon & Garfunkel che fanno un disco sotto altro nome e fuori da ogni adempimento contrattuale. E un qualcosa di irriconoscibile, un afarina dal sacco non identificato, che continuo a inseguire, invano. Fino alla resa: Faris Nourallah. Il sacco è
Autore: Bob Villani