Ci sono almeno due buoni motivi per i quali non posso che parlare bene dei Clayhill. Il primo è che sanno scrivere bei pezzi. Canzoni oblique, che trasmettono un senso di autunnale malinconia, con le quali si teorizza e si applica una sintesi efficace di musica acustica + fiati + pulsazioni elettroniche. È la musica che gira intorno, insomma. Niente climax orchestrali, però, o finali ultranoise, perché lo spleen dei Clayhill rimane sottotraccia; non inespresso, solo trattenuto, pronto a saltare fuori in ognuno degli scarsi trenta minuti di questo mini.
Il secondo è che chi afferma di ispirarsi ai Velvet Underground non può che ricevere il mio plauso, anche se le coordinate ufficiali (VU, Radiohead) non fanno ragione delle reali frequentazioni del gruppo, che mi sembra si aggiri piuttosto dalle parti dell’ultimo Beck o dei Travis di “The Men Who”. Malinconia al servizio delle sette note, insomma,e pare che chi proviene da oltremanica, oggigiorno, non possa proprio farne a meno. Eppure, quando vogliono, sanno anche divertire e divertirsi questi tre ragazzi (‘Figure of Eight’), aprendo il disco con una progressione di accordi che farebbe felice qualunque discografico. Tutto cospira, insomma, per fare dei Clayhill qualcosa di più di un nome destinato a circolare solo sulla riviste specializzate.
Anche perché non si può dire siano degli absolute beginners: chitarra e basso si incontrano alla corte di Beth Orton, danno vita ad un demo e lo spediscono a Gavin Clarke, voce dei disciolti Sunhouse. Il tutto sembra funzionare e 18 mesi dopo ecco “Cuban Green”, mini CD il cui fratello maggiore è atteso per l’estate. Suonano la musica che piace a loro e che piacerà a molti di noi, e va più che bene così.
Autore: Andrea Romito