Sbaglio o dopo 10 anni questo è proprio il primo disco dei Tortoise con cui abbiamo a che fare? Su queste pagine, ovviamente, perché nel privato dei nostri appartamenti ce li siamo ascoltati quasi tutti, dall’omonimo esordio del 1994 fino a “Standards” di tre anni fa. Ora finalmente spendiamo, ufficialmente, qualche parola su questa sorta di quintetto delle meraviglie, la cui stabilità di line-up è quanto, essa sola, ci impedisce di trattare di loro come di una “all-star”.
Nei fatti Bitney, Herndon, McCombs – con cui abbiamo inteloquito nell’intervista ancor presente su queste pagine – Parker e il mainman McEntire sono dei fuoriclasse che, in virtù di un lungo curriculum negli eterogenei ambiti del post-rock (e di ciò che l’ha germinato – sarebbe ridicolo parlare di “pre-post-rock”, ma quando McEntire suonava nei Bastro non credo si potesse già utilizzare il famigerato termine) oltre che del jazz obliquo e liquido dell’AACM, possono giostrare tanto con una tromba che con un basso o su una marimba, forti anche di uno studio, il loro Soma Electronic in quel di Chicago, che gli permette di modellare il loro sound nei minimi dettagli.
“It’s All Around You” è un album, come già i precedenti, difficilmente definibile alla luce o relativamente agli episodi che lo hanno preceduto. L’assenza di direzione e di “focus” nel Tortoise-sound è ancora una volta la chiave di interpretazione “statica” di ciò che i magnifici 5 sfornano. Come detto il sound è rifinitissimo, ai limiti del lezioso, ma almeno McEntire e soci sembrano esserne consapevoli, sì da risparmiarci deliri megalomani capaci di portare tanto a tripli album o cofanetti di alternate versions et similia, quanto a operazioni “orchestrali” ad alto rischio di naufragio o episodi dalla probabile insostenibile durata (fatta eccezione per i 21 minuti di ‘Djed’ in “Millions Now Living Will Never Die”).
Questo per rendere l’idea di come sia arduo descrivere i Tortoise senza procedere per sottrazione. Loro che hanno praticamente “inventato” il post-rock – inteso come effettiva fuoriuscita dai canoni del rock – salvo vederlo approdare su altri lidi stilistici – di nuovo interni all’estetica rock – e quindi uscirne, pur essendo, ad esser onesti, gli interpreti più veri dello spirito originario di questo genere-non-genere: uno spirito pionieristico che affonda i propri paletti in una terra vergine e di confine tra jazz, ambient, dub ed elettronica, in cui del rock non restano che gli echi di palchi, furgoni e amplificatori appresso a cui è stata spesa la “turbolenza” della gioventù.
E questo ancora oggi è lo spirito dei Tortoise, fermamente convinti che le “terre vergini” esistono ancora e vadano scoperte, salvo abbandonarle affinchè il disco successivo possa rappresentare l’esito positivo di una nuova esplorazione. Le crescenti possibilità del loro studio conferiscono un approccio più dub e “stratificazionista” alle escursioni da lounge del futuro di “It’s All Around You”. Lounge propriamente intesa, per installazioni artistiche, ascensori (come quello di un Ministero a Parigi, di cui è stata loro commissionata la sonorizzazione) o algide sale d’attesa (lounge, appunto) di aeroporti, altro che la bossa-beat o il nu-jazz da club-culture dei dj tedeschi. Tappezzeria sonora il cui significato è necessariamente nell’insieme ed entro cui non ha praticamente senso isolare questo o quel brano (è stata posta attenzione su ‘The Lithium Stiffs’ in qualità di “primo brano cantato” dei Tortoise – ma dove?! quel languido vagito femminile?!) per stabilire quale sia il più valido, il più orecchiabile, il più imprimibile nella memoria. Press eject and play: e nel frattempo fate ciò che vi pare. Loro 5 sono lì a farvi compagnia, e a dirvi, implicitamente, “this is what we do, and we do it at its best”.
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