E’ toste, anche se non sorprendente, venire a sapere che una tal ditta di fast food abbia impiantato un enorme punto vendita all’incrocio delle highways 61 e 49. Come una profana freccia di neon che trafigge il cuore del delta blues territory.
Di tutti i generi musicali, il blues è forse quello che più di ogni altro è stato cambiato, sfigurato, dimenticato e riscoperto. In alcune occasioni i risultati possono essere straordinari, se non rivoluzionari. Più spesso, non più che mediocri. Fortunatamente Jay Farrar è riuscito a realizzare un disco che si avvicina più alla prima delle due citate tipologie. Malgrado il suo sound paga tributo più al boom alt-country dei 90 che non al’originario blues sound degli anni 20-30, “Terroir Blues” resta pur sempre un disco eccellente. Grazie non solo ad un altamente consapevole songwriting, ma anche all’onestà e all’umlità con cui l’ex Uncle Tupelo (in compagnia di Jeff Tweedy – mai sentito?) si accosta a questo tipo di musica.
Delle 24 tracce dell’album, 11 sono vere e proprie canzoni, consistentemente poetiche con costanti riferimenti al senso di disillusione del mondo d’oggi. Le altre 13 sono catalogabili come scarne reprise, strumentali o bizzarri soundscapes (intitolati questi ultimi ‘Space Junk’, dall’I al VI). Tale insolita “formattazione” serve a enfatizzare il fatto che farrar non è disposto a compiacere tutti-ma-proprio-tutti con questo disco. Dote di freschezza, questa, e che non manca di emergere nel corso dell’ascolto.
Non c’è niente in questa musica disegnato per mettere da subito a sedere l’ascoltatore e fargli prendere nota della sua autogratificante ingenuità, ma c’è un senso di malinconico mancare che a poco a poco, lentamente ma inesorabilmente, lo “infetta”.
Questo disco certamente risente dell’influenza anche di bands come Pavement, ma c’è qualcosa sul desiderio di semplicità nella musica di Jay che trascende la retorica del “movimento” alt-folk-country, specie se unito alla sua ingenuità e all’abilità di trovare sincerità nella musica. un album che è una stupendamente piacevole sorpresa.
Autore: Daniel Westerlund