Gli uccelli in copertina deragliano e svolazzano sull’amabile sfondo azzurro, le arie introduttive meditano riflessioni tra jazz, post e sperimentalismi, e le note di stampa accompagnano il fondale dell’opera esplicando il tutto.
La sigla Brokeback è un progetto a due: i tizi in questione sono nientepocodimeno che Douglas McCombs e Noel Kupersmith, entrambi degni di un curriculum per nulla indifferente.
La lista comprende Tortoise, Eleventh Dream Day e Chicago Underground duo, e quando si passa alle guest dell’occasione compaiono prima membri dei sopracitati ensemble (dice niente John McEntire?) e poi, a tinte dolci, le voci di Mary Hansen e Laetitia Sadier degli Stereolab.
La natura di progetto aperto ha reso sempre più policromo e variegato il modo di comporre: dopo la pubblicazione di due album in cui la responsabilità compositiva rimaneva ben salda nella mani di McCombs, i contributi creativi si sono moltiplicati concedendo ampi ventagli da sfruttare.
Il filo conduttore sembra affidarsi ad un approccio insieme minimale eppure sfaccettato, costruito sulla perizia del cesello, combinando i tasselli.
Gli organi e le delicatezze percussive trascinano in modo lento e avvolgente, come in “The suspension bridge at Iguazù falls”. Nel sottile crescendo glitch di “The wind-up bird” affiorano originali, studiate propensioni ambient. L’equilibrio dell’amalgama conserva un profilo semitonale, preferendo insinuarsi nei dettagli piuttosto che sciorinare facili melodie. Non è un disco di fragori, né di rumori: preferisce il gusto dell’incanto, affidandosi alla voce suadente di Mary Hansen.
“In the reeds” scivola sulle sue corde, cullate dall’organo di Aky Tsuyuko. I fili struggenti della sua voce riempiono le ampie volte lasciate dai bassi in equilibrio con percussioni ben coordinate, nella densità di “Name’s Winston, friends call me James”, resa perfettamente incantata dal controcanto di Laetitia.
Il corno di Rob Mazurek, ennesimo pezzo del puzzle sonoro e già membro del Chicago Underground Duo insieme al batterista Chad Taylor, chiude con “Pearl’s dream”, insieme alle ultime, eteree desolazioni vocali della Hansen, tristemente scomparsa da lì a poco.
Autore: Alfonso Tramontano Guerritore