Benvenuti al party più perverso, malsano, lurido e peggio frequentato della grande mela. Le luci sono fredde, sui corpi vestiti di latex che si muovono robotici e allucinati, e il “master of cerimony” ha un nome che è tutto un programma.
Helmut Josef Geier, aka “Hell”, novello caronte post-moderno, sarà ben lieto di accompagnarvi in un viaggio nei meandri della sua elettronica deviante, che suona abrasiva come fosse punk rock, che è stracolma di suoni che rimandano agli 80’s, ma che a confronto le più aggressive (?) produzioni electro-clash degli ultimi tempi sono roba per ragazzini.
Negli inferi DJ Hell trascina anche uno come Erlend Oye (l’occhialuto cantante dei Kings Of Convenience), che canta – quasi irriconoscibile – l’iniziale “Keep on waiting”, forse il pezzo più “catchy” del disco; e ancora: Billy Ray Martin, che presta la sua voce suadente alla lenta e pacata “I regret” (che ha il suono di dei Portishead in versione ancora più noir); Meredith Danluck, che canta nell’ipnotica “Follow you”, e Alan Vega, che in verità in certi ambienti “maledetti” sguazza già da tempo, e non aveva certo bisogno di esservi “trascinato” dal diabolico dj tedesco (semmai il contrario…).
Sono proprio gli incubi dei Suicide a riaffiorare in più di un’occasione, e guarda caso è proprio Vega l’ospite più “presente” nel disco, dato che appare in ben tre brani, tra cui la devastante “Let no man Jack”.
Hell è incredibilmente versatile: oltre al già citato (imprevedibile) momento melodico di “I regret”, è un vero piacere immergersi nel techno-minimalismo di “The ambient song”, prima di essere sballottati dagli implacabili, gelidi beat simil-hip hop di “Black panther party”, o di perdersi nella cassa in quattro funestata da disturbi sonori di “Meet the heart”.
Il disco electro più punk del momento. O viceversa. Fate voi.
Autore: Daniele Lama