Bei cervellacci questi giapponesi. Come in altri campi (specialmente quelli ad alto tasso di tecnologia), così in musica, in quasi tutti i generi, prendono quello che europei e americani fanno da anni, quando non decenni, dandogli però quel “twist” capace di portare almeno un paio di occhi-a-mandorla nel novero dei più degni rappresentanti – a livello mondiale – di ogni genere, specie di quelli, appunto, meno “discreti”, più “shockanti”. E’ successo nel metal estremo (Zeni Geva), nell’hardcore-noise (Melt Banana) nel punk-rock (Guitar Wolf, anche se qui l’effetto “copia spudorata”, nell’assumere contorni quasi parodistici, è la matrice prevalente della loro fama lontano dal Sol Levante), nell’abstract hip-hop (DJ Krush), senza contare i molti più nomi in ambito electro-noise (dove, specie nelle frange più estreme, i maestri sembrano essere proprio loro).
Riow Arai, musicista e produttore (“creditato” da Tujiko Noriko, per cui ha lavorato, oltre che, in qualità di ammiratori, da Nakemura, Coldcut, Four Tet), vanta non pochi numeri perché il suo nome sia oggetto di un diffuso passaparola in ambiente hip hop-electro-breakbeat, varietà rigorosamente “abstract”. “Mind Edit” può suonare oggi come un’importante pietra miliare del genere, alla luce anche di come negli States roba del genere sia riuscita a fare breccia (Prefuse 73, sentito mai??). E pensare, invece, che questo disco ha già quattro anni di vita. Correva il 1999 infatti quando la Soup-Disk (label giapponese abbastanza, pare, di culto) stampò quest’album. Aggiungeteci gli interessi, quindi.
‘Undulation’, primo brano tolta la intro, è già un ottimo biglietto da visita. Ciò che più colpisce di tale brano è la sensazione di robotica sincronizzazione che corre tra i beat e la base (breakkatissima). Laddove invece brani come ‘Disturbance’ (una perentoria base funky, pur se non particolarmente “variata”) e il successivo ‘Gyrate’ (basso e batteria) suonano proprio come dj-tools o campioni a sé stanti pronti per ricevere delle “aggiunte”. Penso a Krush, inevitabilmente, ma pur sempre per cercare differenze. Sì, forse a Riow non verrà in mente di fare un disco con Toshinori Kondo o di elucubrare forme astratte e ricercatissime di fusion-hop (anche se in un brano come ‘Flatter’ l’estro di Riow spazia e non poco) come al collega-connazionale.
L’attitudine dance-hall è in Riow sì più marcata, ma non privativa di altre features: ‘Hyp’ e ‘Gold’ potrebbero essere state (1999, non dimenticate) una delle molle creative dei tanti acts che escono per Morr, mentre ‘Break Roads’ e ‘Trillion’ acquistano quel tocco di discrezione minimal adatto per i dovuti inciuci con la vicina di pista (he-he). Gamma esaurita? No, manca ancora la conclusiva ‘I Dine at Daybreak’, congedo lounge col quale il dj smonta, saluta e va a godersi il meritato e ormai quasi diurno riposo. Anche a voler lasciar perdere la retorica della coolness nipponica, “Mind Edit” è stile, pieno e incondizionato.
Autore: Bob Villani