Ho una vera debolezza emotiva e non l’ho mai nascosta per questo duo proveniente dall’Alabama, Auburn-Lee County, che da tre anni continua a sfregiare e violentare il blues del delta: Chetley Weise il maestro di cerimonie, vocalist e chitarrista estremamente istintivo che come nessuno sulla scena oggi riesce a riattualizzare i sordidi contenuti dei santoni blues di sempre strapazzando slide ed amplificatori in un culto devoto al noise senza precedenti.
A Febbraio di quest’anno Chet ci aveva dispensato un intenso Love Is A Charm Of Powerful Trouble inciso per la Estrus come il debutto; con questo terzo lavoro per la Sweet Nothing si rivela ancora curiosamente invischiato nei misteri arcani di questa forza primigenia che è l’Amore, intitolandolo ed introducendolo con alcuni versi di
Dylan Thomas.
Love Unbolts The Dark è metà in studio, metà live : nei cinque brani della prima Chet Weise mette sul tappeto un songwriting decisamente più a fuoco che in passato incrociando il suo blues ‘immortale’ con le istanze più torride ed oltraggiose del rock&roll storico americano, Mc5 e Stooges prima di tutto e così Boom Boom, The Damned Don’t Cry, Rock&Roll Is Killing Me traboccano di sana disperazione ed energia rockistica, la rilettura di Burnin’ Hell (J.L.Hooker) non è affatto scolastica come al solito mentre God Bless The Losers Who Try è torbida ed introversa nella sua lentezza malata.
Dal vivo I.L.C.K.II sono una vera forza della natura a dispetto della loro formula minimale e la live-side di Love Unbolts The Dark lo dimostra generosamente: il duo americano recentemente ha sfoggiato con successo il suo sound turbolento anche da noi, all’Indipendent Days Festival.
Dopo lo strascicato recitato di Ain’t Goin’Down To Well No More (Leadbelly)
declamato da Chet a Waverly, Alabama, praticamente in casa sua, abbondantemente sottolineato dalle grida di un rado pubblico in calore, le versioni ultrasature e sfracellate di due classici della prim’ora, Let’s Get Killed e Said I’d Find My Way eseguite alla BBC per il John Peel Show : slide in libertà, dosi abbondanti di feedback e voce esasperata a testimoniare la rivoluzione estetica e formale apportata al blues atavico nella fase iniziale della loro carriera.
Più scolastica la lenta Never Get Out Of These Blues Alive dal vivo al Vera Club di Groningen, Olanda: qui Chet (non è la prima volta) pare il Rory Gallagher più punk ed etilico che si possa immaginare in quanto a rasoiate slide e vocalismo stravolto, scusate se è poco.
Vera ciliegina sulla torta la finale versione acustica di un brano di Skip James, Devil Got My Woman, il volto più intimista e chiaroscurale di Chet: magnetica è l’ipnosi disegnata dalle sue corde e l’abbandono estatico del suo feeling vocale.
37 minuti, davvero troppo pochi per soddisfare la nostra sete insaziabile ma sufficienti per comprendere ancora una volta l’enorme statura artistica degli
Immortal Lee County Killers II.
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Autore: Pasquale Boffoli