Vi ricordate dei Morphine? Vi ricordate di quei capolavori intitolati “Yes”, “Cure for pain” e Good”? Ricordate quella voce? E quella tragica notte romana del 4 luglio 1999 la ricordate?
Se state correndo il rischio di dimenticare, osservate i tre disegni inclusi nel booklet di questo omonimo debutto dei Twinemen: sono firmati da Mark Sandman ed uno dei tre si intitola – sarà solo una coincidenza? – “Twinemen unwind at the piano”. Per tutto l’arco del 2000 i Morphine superstiti Dana Colley e Billy Conway hanno celebrato la musica del gruppo madre suonando live negli States e in Italia con il collettivo Orchestra Morphine e poi, a partire dal 2001, hanno iniziato a lavorare a questo disco che vede la luce adesso, a distanza di quattro anni dalla scomparsa di Mark Sandman. Oltre che agli strumenti di competenza (i sassofoni per Dana Colley, la batteria e le percussioni per Billy Conway), i due si cimentano anche al basso, alla chitarra e alla voce (intensa l’interpretazione di Dana Colley nella fumosa “Golden hour”) e si avvalgono di volta in volta del contributo di altri cinque strumentisti, due dei quali provenienti proprio dall’Orchestra Morphine. E sempre dall’esperienza Orchestra Morphine proviene il terzo elemento stabile dei Twinemen, vale a dire la vocalist Laurie Sargent. Il viscerale jazz-blues del trio riporta inevitabilmente alla memoria il repertorio dei Morphine, ma questo disco non è un tributo al passato, rappresenta qualcosa di più e di diverso: pur mantenendo ben vivo il ricordo di Mark Sandman, Billy Conway e Dana Colley hanno placato quella sensazione di perdita irrimediabile, l’hanno saputa trasformare in serena consapevolezza del tempo che scorre e adesso rivolgono il proprio sguardo al futuro. I Twinemen si presentano come un gruppo vero insomma, non come un’operazione per nostalgici, e alla fine i paragoni con i Morphine sono del tutto inutili, sviliscono l’autenticità di questo progetto e non aiutano certo a prestare la dovuta attenzione alle doti canore di Laurie Sergent, la cui voce avvolgente (“Harper and the midget”, “Watch you fall”…) all’occorrenza sa anche graffiare (“Ronnie Johnson” e una “Chose Sauvage” con tanto di liriche in francese). E tra le volute soul-jazz di “Signs of life” svolazza soddisfatto lo spirito di Mark Sandman. Diretto chi sa dove.
Autore: Guido Gambacorta