La spina dorsale di questo nuovo progetto musicale italiano è composta da tre elementi degli ormai disciolti Bartok, e le atmosfere intense che si respirano nel disco lasciano esterrefatti già al primo ascolto, ricreando quell’impatto emotivo che La Crus, Diaframma o Paolo Benvegnù han saputo ragalarci in questi anni rivalutando certa tradizione ‘esistenzialista’ italiana (Endrigo, Tenco, Paoli) contaminandola con modelli stranieri coerenti quali Leonard Cohen, ad esempio.
Marchi di fabbrica dei Lo.Mo sono la voce nasale e limitata di Roberto Binda e soprattutto il pianoforte dell’australiano Darren Cinque, il cui tocco ‘notturno’ alla tastiera ricorda il nuovo corso del suo più illustre connazionale Nick Cave, solo in versione più profana (ascoltate ‘Dissolversi’); interessante anche la sua escursione pianistica nel jazz à la Chick Corea in ‘Una Sangre’.
E c’è anche un altro australiano in ‘Camere da Riordinare’, Hugo Race: chitarrista proprio di Cave nei Bad Seeds, amante dei toni blues e dell’Italia, che produce il disco e vi suona l’organo.
Echi pulp e new wave fanno poi capolino qua e là: ‘Piaceri Singolari’ e ‘Non era Tempo per Noi’ – le nostre preferite – ne portano indelebili segni addosso, con il vocione dark e bassissimo di Binda che quasi sembra di riascoltare il Fiumani dei Diaframma sotto mentite spoglie.
Oltre che gradita sorpresa, ‘Camere da Riordinare’ è anche uno dei più bei dischi italiani degli ultimi anni, e sono sicuro che lo ritroveremo nelle playlist di fine 2005: dalle ceneri dei Bartok è nata una nuova stella, si chiama Lo.Mo, e speriamo che anche il pubblico se ne accorga, stavolta.
Autore: Fausto Turi