Intervista a Toni D’Angelo, ora in sala con il noir “L’innocenza di Clara”
Tony D’Angelo torna dopo ben cinque anni dal suo primo lungometraggio, “Una notte”, con un noir, “L’innocenza di Clara”, ispirato da una storia vera e ambientato tra le cave di marmo di Carrara e i boschi della Lunigiana. Protagonista della vicenda è Clara (interpretata da Chiara Conti), misteriosa femme fatale, vertice di “un triangolo rosso di passioni ed emozioni, scandito dai tempi sospesi di una cittadina formale e perbene”.
Beh, tanto per rompere il ghiaccio, chi è Clara?
“Clara è una donna che ha assolutamente bisogno di amare e di essere amata. Non fa delle cose con degli obiettivi, è essenzialmente una persona debole, inconsapevole del potenziale del suo fascino e di quello che il suo essere naturale è in grado di innescare. È una dark lady a tutti gli effetti, un personaggio misterioso, pieno di sfumature, sfuggente. Ma non è assolutamente malvagia. Il suo personaggio è ispirato ad una storia vera: quella di una donna accusata di essere il mandante morale dell’uccisione del marito, di aver scientificamente organizzato la sua morte”.
Da “Le conseguenze dell’amore” di Sorrentino a “L’imbalsamatore” di Garrone fino a “La doppia ora” di Capotondi e a prove più recenti di personaggi che solo da qualche anno si sono avvicinati alla macchina da presa come, ad esempio Zampaglione, si assiste ad una certa fascinazione da parte di una nuova generazione di registi italiani nei confronti del noir e di personaggi oscuri, in bilico tra bene e male. Come ti inserisci all’interno di questo filone? Ti reputi un nuovo adepto?
“Assolutamente non c’è un filone. Né una regia dietro la scelta mia e di altri registi di confrontarsi col genere. Con alcuni di loro ho un rapporto di amicizia, e in generale ci conosciamo, ci confrontiamo ma non c’è nessuna vague. Credo più semplicemnete che in molti abbiano scelto il noir per le sue caratteristiche. È il genere che secondo me più è in grado di dare la possibilità ad un regista di raccontare l’essere umano. Il noir non è un genere con dei paletti, è piuttosto una sfumatura. Un sottogenere che ti dà la passibilità di giocare anche se il mio è un film estramamente rigoroso”.
French touch à la Chabrol o evergreen targato USA? Durante la preparazione, avrai fatto una scorpacciata di film noir, da cosa ti sei lasciato ispirare?“Durante la preparazione del film ho visto soprattutto cinema che non c’entrava nulla col noir.
Roba autoriale, tanto Carlos Reygadas, e più in generale, cinema messicano e turco. La mia è stata essenzialmente una ricerca visiva e poi, tanto Chabrol. È il cinesta che, a mio avviso, meglio racconta la provincia nera. In particolare il suo “Stephane, una moglie infedele” è stato un film che mi ha profondamente colpito e ispirato. Un capolavoro”.
In concorso al Courmayeur Noir in festival e unico film italiano in gara al Festival di Montreal, quanto è distante L’innocenza di Clara dai tuoi primi lavori? “L’innocenza di Clara è totalmente distante dai miei lavori precedenti. Volevo raccontare lo stato d’animo di un luogo malato, permeato da invidie, gelosie, rancori che con l’arrivo di Clara in qualche modo straripano. Volevo dare l’idea di una gabbia, un senso di oppressione, angoscia, claustrofia. Anche per questo ho privilegiato l’ambientazione in interni. L’unico momento di respiro è dato dai due ragazzini. Anche rispetto ai tempi, la dilatazione mi era necessaria per raccontare l’incomunicabilità tra i personaggi.
Rocco Marra ti accompagna anche in questa seconda prova con il lungometraggio. La sua fotografia sembra flirtare con la luce, accompagnarla in un lungo climax, fino a farla risplendere anche nelle ambientazioni più cupe, esaltando i contrasti e risaltando colori e contorni. Quanto è importante il suo lavoro nella tua estetica? Il lavoro di Rocco è per me fondamentale. Siamo amici prima che collaboratori e dal punto di vista professionale siamo nati insieme. Una notte è stato il suo esordio alla direzione della fotografia di un lungometraggio. Lui per me è una necessità, non riesco a concepire la preparazione di un film senza il confronto con lui. Sa tutto di me. Sa ad esempio che non amo il dolly, non lo uso e non me lo fa preparare. Tra di noi c’è massima sinergia, lui sa esattamente quello che voglio e riesce ad anticipare i miei movimenti e a realizzare istantaneamente le mie intenzioni. Rispetto alla concezione estetica a noi piacciono cose totalmente differenti. Lui è più filo- americano, io invece più per la visione, tipo cinema autoriale messicano o turco però, poi, sul set c’incontriamo e disveliamo la nostra visione comune.
Andiamo alla sceneggiatura, questa scritta volta scritta a sei mani con Maurizio Braucci (Reality, Gomorra, Tatanka) e Salvatore Sansone (già co-sceneggiatore in “Una notte” e mattatore insieme a Biagio Propato del tuo documentario “Poeti”). Com’è nata questa collaborazione?“Maurizio lo conosco da dieci anni e l’idea di scrivere questo film insieme è nata per caso, eravamo entrambi a Napoli e avevamo voglia di fare un film insieme. Lui è uno che ti fa molto pensare che ti mette in discussione tutto. E Sasà, è Sasà. Rispetto alal sceneggiatura mi pongo come un nemico perché sul set stravolgo tutto. Voglio uno screenplay, perfetto, dettagliato ma in fase di direzione tendo a distruggere tutto. Mi piace iomprovvisare. La scena del bar ad esempio, quella in cui Giovanni insegna a Clara a sparare, non era nello script iniziale. È nata per caso”.
Cortometraggio, videoclip, documentario, lungometraggio, hai attraversato e fatto tue un po’ tutte le forme del linguaggio cinematografico (videoarte a parte a quanto risulta)… con quale ti senti più a tuo agio?“Il videoclip è un giochino, ma io amo il lungometraggio. Il cinema mi appaga. Ma il mio è un cinema fatto di visioni, dai tempi dilatati, più autoriale, forse è per questo che non riesco ad entrare in un meccanismo produttivo e distributivo”.
Nella tua biografia scrivi che hai vissuto sempre a Roma eppure le tue sono radici partenopee robustissime (è figlio di Nino D’Angelo, ndr). Quanto c’è di Napoli nella tua poetica? Credi sia impossibile tornare e costruire qualcosa nella città delle tue origini?
“Napoli per me è importantissima. Quasi tutto quello che penso, lo penso a Napoli. Carrara mi è stata necessaria per rendere le atmosfere rarefatte, per dare il senso della sospensione ne “L’innocenza di Clara”, altrimenti avrei girato a Napoli. Rispetto alle opportunità e al fatto di lavorarci, la mia opinione è che i migliori cineasti giovani in Italia sono napoletani o comunque campani di adozione, tipo Garrone. Certo a Roma c’è il cinema istituzionale, c’è l’economia, non si può prescindere dalla Capitale, è un po’ come Hollywood. Ma a Napoli c’è un sacco di cinema indipendente.
Quindi se Roma è Hollywood Napoli è la New York italiana?“Napoli è la New York italiana al 100%”.
Come avete lavorato alla produzione e alla distribuzione del film? Hai previsto l’inserimento in circuiti distributivi alternativi?“Io penso che il futuro sarà il web. Stanno chiudendo una sala dopo l’altra. Dal 2014 non saranno più prodotti film in pellicola solo in DCP (Digital Cinema Package file per l’archiviazione e la trasmissione di film digitali) ciò ci impone di pensare a nuovi meccanismi distributivi e il web farà la parte del leone. Alcuni festival già si sono attrezzati in questa direzione, i film della sezione Orizzonti al Festival di Venezia e alcuni film del Festival di Roma consentivano una doppia visione: in sala o sul web. Il mio film è stato distribuito in DCP. Sta andando molto bene, nonostante sia stato distribuito solo in cinque copie: ha realizzato una media copia pari a “Lo Hobbit”. Rispetto ai circuiti alternativi, per me sono fondamentali. Seguirò il film ovunque tra festival e proiezioni in associazioni, cineforum, iniziative. Da questo punto di vista la scelta di far uscire il film in concomitanza con il Courmayer è stata strategica: nonostante il Natale e la congestione dell’offerta cinematografica il festival è riuscito a dare risalto al film e il risultato al botteghino è incoraggiante”.
Progetti?< br>”Torno a Napoli. Il prossimo film lo girerò volutamente lì. Sarà un melodramma poliziesco prodotto da Figli del Bronx e Minerva, Titolo provvisorio: “I falchi”. Primo ciak: alla fine del 2013″.
Autore: Michela Aprea