Regia di Giovanni Piperno
“Il pezzo mancante” è il titolo perfetto. “Pezzo” come i miliardi di pezzi che maneggiano gli operai della Fiat, “mancante”, perché c’è sempre qualcosa che non torna nella famiglia-dinastia, gli Agnelli, oliata come gli ingranaggi di una Punto ma cedevole ai dissesti delle strade italiane e del destino. Che nel nostro caso ha i nomi di Edoardo (suicida) e Giorgio (fratello misconosciuto di Gianni e Umberto, e disconosciuto perché, forse, psichicamente problematico). Sono i due colori che mancano all’affresco sabaudo.
Pur essendo un titolo perfetto, Giovanni Piperno l’ha un po’ ciccato, “tradito”. Essì: dedica una preziosa ma rapidissima pennellata a Giorgio, con il racconto della fidanzata-poetessa,: sguardo fisso e muto in camera e voce off che giura sulla sregolatezza incompresa del rampollo. Poi nulla più, o quasi.
Edoardo è più presente, c’è più materiale, fioccano le testimonianze, si cuce il tessuto del ricordo grazie ai tanti amici disseminati nel mondo. Eppure anche il figlio prediletto dell’Avvocato anarcoide e ambientalista si confonde e si sotto-pone all’immenso puzzle di famiglia. La storia degli Agnelli è avvincente, ed è bene ripercorrerla. Com’è stato fatto da Piperno, con acribia e cura formale intrigante. Ma questo non è un servizio de La Storia siamo noi, mi pare. Le vicende della Fiat, passaporto dell’Italia industriale nel mondo, sono davvero troppe. Darle per scontate non sarebbe stato un male. Prescindere per focalizzare, studiare e presentare meglio, come due lucine nel buio, Giorgio e Edoardo. Appunto, i pezzi mancanti.
Autore: Alessandro Chetta