Di Joel & Ethan Coen con Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Matt Damon
Nella distinzione che fece Truffaut tra registi istintivi e cerebrali, i Coen andrebbero annoverati di diritto nella seconda schiera. Uno laureato in Cinematografia e l’altro Filosofia, non possono girare film in maniera viscerale facendo leva sulla pancia dello spettatore. Sono per l’ironia, per il distacco da quei personaggi che disegnano sempre ingabbiati in labirinti in cui non sanno di essere prigionieri. La gravità di un momento narrativo è, nella loro idea di cinema, sempre da bilanciare con il suo rispettivo sbugiardamento.
L’inoltrarsi con “Il Grinta” nel western, genere in cui risiede spesso una solennità della narrazione, sfida questa naturale attitudine al dileggio del materiale raccontato. Anche in questo ultimo film, il primo della loro ventennale carriera a incassare più di cento milioni di dollari nel mercato nazionale, c’è l’algida voce fuori campo che narra e inquadra la storia in un orizzonte di disillusione; la voce fuori campo dei Coen che emana disfattismo fin dalla prima inquadratura del loro primo film che iniziava infatti con una voice off. Il disfattismo è necessario perché una pratica esplicativa come il commento esterno va a scontrarsi contro una mole di eventi che è sempre impossibile da comprendere appieno da chi la abita. Anche nel Grinta, sorta di road-movie ambientato in tempi in cui le strade non c’erano ancora, la caccia al criminale-omicida assume i contorni di una impresa troppo grande per chi la deve portare a termine, ma poi inizia ad avere successo proprio quando gli inseguitori la abbandonano.
Tutto si sblocca in un istante, e proprio quando il coronamento della missione sta per compiersi, e il lieto fine per stagliarsi, tutto ripiomba nel bleak ending ( in cui trova posto una bellissima cavalcata notturna, frutto del lavoro di Roger Deakins, professionista dell’oscurità) recitato dalla solita fredda voce fuori campo. Bilanciamento finale.
Autore: Roberto Urbani