di Michele Placido, con Paz Vega, Kim Rossi Stuart, Filippo Timi, Valeria Solarino, Francesco Scianna, Moritz Bleibtreu
Finisce che il bel Renè canticchia pure “Napul’ è mille culure”, mentre è in macchina, su un’autostrada anni 80, con la voce che saglie chianu chianu. Fischietta sereno provando a imitare il napoletano e così completa il quadro: da nord a sud, Vallanzasca vince il premio empatia (simpatia sarebbe un po’ troppo). Trascina tutti dalla sua parte, dopo 2 ore di azione serrata, anche se non sarà mai Robin Hood come qualcuno ha provato a farci credere.
Dopo il mezzo flop del “Grande Sogno” Placido, cineasta a corrente alternata, ritorna dalle parti di Romanzo Criminale e ci sguazza. Il film di genere come ha scritto qualcuno esce di pista e diventa d’autore. E’ lo stesso Placido a scrivere con Kim Rossi Stuart la biografia sceneggiata degli angeli del male e del loro capo bello e dannato, vittima dei contrattacchi di madama e della Lega. Lo fa col freno a mano tirato, attento come la morte a non mitizzare troppo il tipo, ma come tutti i registi di genere finisce per innamorarsene, tarantineggiando.
Si aggira nei cinema d’Italia un Vallanzasca sfrontato e irriducibile, solare e sanguinario, telegenico e istupidito, un Lupin coi traumi infantili. Un fantasista dalla calata meneghina che quando si accentua troppo scivola nel sardo. I comprimari (Filippo Timi, Paz Vega, Francesco Scianna, Valeria Solarino, il napulegno Nicola Acunzo) tengono testa all’ex ragazzo dal kimono d’oro davvero mai così ispirato (i David sono lontani, ma guai a dimenticarsi di Kim). Calda la fotografia, estremamente curati i costumi (e i capelli). Montaggio di dettaglio, che non dà tregua e regia che salta molto oltre il minimo sindacale.
Tra pulp, “Milano Violenta”, e sprazzi de Il camorrista ma un tot meno efferato. Il personaggio ne esce trionfante? E’ un cattivo esempio per i giovani? Forse, ma non fate la morale, e non ve lo perdete. E poi fanno molti più danni i tronisti.
Autore: Alessandro Chetta