di e con Silvio Muccino, Isabella Ragonese, Michael Rainey Jr., Maya Sansa
Silvio Muccino 2.0. A due anni da quel “Parlami d’amore”, prima regia corredata da un discreto successo, il giovane Muccino torna nelle sale con una storia meno impalpabile, di maggior spessore, più ambiziosa. Squadra che vince non si cambia e allora anche qui, come in quell’opera prima, ritroviamo Silvio protagonista, regista e cosceneggiatore -testo scritto ancora con Carla Vangelista- un’ attrice bella e brava ad affiancarlo sulla scena -lì la Crescentini, qui la Ragonese; riconfermato pure Flavio Parenti nei panni dell’amico sregolato e il cameo illustre -Greta Scacchi al posto di Geraldine Chaplin. Insomma, un secondo film in cui si percepiscono riconoscibili gli echi del primo, compresa la voce narrante e la Roma pariolina tutta festini e dissolutezza.
Qui però l’azione compie un salto di migliaia di chilometri e si sposta nel cuore del continente nero dove Muccino, alias il giovane e viziato Andrea, va per dare l’ultimo saluto al padre che l’ha abbandonato venti anni prima; parte solo e torna accompagnato da un fratellino di otto anni di cui neppure sapeva l’esistenza. E qui naturalmente inizia tutto, o meglio, finisce tutto: la vita di Andrea implode, collassano le impalcature di ipocrisie, si materializzano paure che rivelano angosce più grandi.
Sentimenti, rimorso, tenerezza, redenzione, c’è tutto questo in quest’opera di Silvio Muccino che sul piano della maturità e della storia ha fatto un salto di qualità pur restando entro una regia non dissimile da quel buon esordio di cui sopra. Conosce la materia e, da gran cinefilo, non manca di fare citazioni ammirate; sa dove mettere la macchina da presa, realizza una buona costruzione del suono, fotografia e alcune singole inquadrature rivelano un gran lavoro di ricerca pregressa. Tutto lodevole ma forse troppo rigoroso per un regista di ventotto anni che si è fatto conoscere ed amare dal grande pubblico per la ribellione e l’ingenuità dei suoi personaggi. Ed è proprio l’assenza di questa ribellione ingenua a farsi notare, specie in quei passaggi in cui, complice una trama a tratti scontata, il film compie troppi scivoloni nella retorica buonista finendo per risultare in diversi passaggi qualcosa di già visto.
Insomma le cose non cambiano mai, cambiamo noi, come è scritto su tutte le locandine. Il Silvio regista è effettivamente cambiato, si è lasciato alle spalle la generazione allo sbando dal denaro facile di “Parlami d’amore” (cui si riallaccia idealmente nelle prime scene del film), abbandonandola dopo appena dieci minuti per lasciare spazio a una vita diversa, a scelte diverse, più adulte, un altro mondo, appunto, quello che alla fine conta davvero.
In questo senso, i primi due film di Muccino possono esser letti come due parti di un unico racconto, con il protagonista che cresce e matura al tempo stesso, proprio come il suo autore. In questo, allora, riconosciamo una similitudine tra il giovane Muccino e il suo fratello più grande: è notizia recente che i due non parlano da tre anni ma, a veder bene, pare proprio che continuino a dialogare sullo schermo, attraverso l’uso di uno stesso linguaggio cinematografico, una passione comune nel raccontare storie in cui si scandagliano le emozioni delle giovani generazioni attraverso le loro evoluzioni affettive ed i loro passaggi di età.
Autore: Vittoria Romagnuolo