di Jacques Audiard, con Alaa Oumouzoune, Niels Arestrup, Gilles Cohen, Adel Bencherif
In galera entri cardinale ed esci papa. Questa è un po’ la morale del Profeta, film per stomaci tosti, che riapre il filone dei prison movie. Jacques Audiard plasma la materia sempre uguale della vita concentrazionaria dietro le sbarre, secondo le nuove e antiche logiche asimmetriche del rapporto tra etnìe. I còrsi contro gli arabi, gli arabi contro tutti. Ma il desiderio del regista si eleva oltre. Dopo la prima mezzora “tradizionale” ti sfotto, ti picchio, ti stupro, ti faccio amico, il film prende una piega da Bildungsroman alla rovescia. Malik El Djebena, il protagonista, mandato dallo Stato al macello come pecora in mezzo ai lupi, capisce presto l’antifona del micro mondo dei carcerati e pur non essendo particolarmente più brillante di altri comincia a tessere la tela.
Questo film è un inno, riuscito in parte, all’istinto animale di sopravvivenza e al detto “fare di necessità virtù”, quello che poi anima ogni buon mafioso. Malik aiuta il boss còrso (un bravissimo Niels Arestrup, principe della brillantina) finché non sovverte le regole. E da muschillo diventa boss. Alla rovescia, appunto. All’inizio intensissimo del film non corrisponde poi un ritmo adeguato. Ma la volontà del regista era probabilmente questa. Dall’action movie chiuso tra quattro mura, passare al thriller. La mente si dilata oltre le sbarre, e l’unico modo per risultare credibile agli occhi degli altri è essere peggiore di loro. Una morale finale quasi esopica. Nel parterre delle nomination agli Oscar 2010.
Autore: Alessandro Chetta