Di F. F. Coppola, con V. Gallo, M. Verdú, A. Ehrenreich, K. Brandauer, C.Maura
Innanzitutto le somiglianze. La pellicola in regale bianco e nero esalta per emulsione lo spazio, la bellezza delle ombre sui muri e le facce. Come il black’n’white di Scorsese in “Toro Scatenato” e lontano da Jarmusch che usa l’assenza di colori per ricreare le bozze di un fumetto. Somiglianze, dunque. Del chiaroscuro scelto da Coppola ne beneficia Bennie (Alden Ehrenreich) che sembra miracolosamente Marlon Brando ai tempi di “Fronte del Porto”. Ancora: magnifica i tratti di lei, Miranda (Mirabel Verdù), mimesi di Giorgia (sì la cantante, e lo so che non c’entra una mazza). E infine, il b/n fa fare una gran bella figura ad Angelo (Vincent Gallo), che tutti chiamano Tetro, e che ha la mascella di Ridge di Beautiful e contemporaneamente, salvandosi, la pupilla matta di tanti maudit del cinema. Da Daniel Day Lewis a Wolverine.
Abbiamo accennato a volti e corpi ma possiamo anche allietarvi altrimenti ricordando salottini, cantine, tavolini da bar, teatri burlesque nella meraviglia decadente de La Boca, quartiere bohemien di Baires, Argentina. E’ davvero una fotografia densa e vintage ad avvolgere i segreti di famiglia che il regista del “Padrino” svela a poco a poco, sfoglia dopo sfoglia, quasi a strizzare in 2 ore e 7 minuti gli intrecci e gli infingimenti di un’intera soap. Il colore della pellicola, chiazzato di rosso, viene significativamente relegato ai flash back. Il passato di Tetro, il protagonista, è quindi acceso e sanguinolento, a colori; il presente, bianco e nero, appare psicologicamente plumbeo ma anche accogliente come ovatta.
Un po’ di trama: il 18enne Bennie si rifugia dal fratello Angelo, ora scrittore con un passato in manicomio. Vuole saperne di più sui genitori che non ha mai conosciuto. Più insiste, più il fratello maggiore si chiude nel mutismo. Finchè, caparbio, Bennie gratta via, in parte, la patina di mistero. Francis Ford Coppola dirige un melò familiare duro, dove i sentimenti sono umidicci come brina. Tanti elementi cucinati da una maestria registica da vi-ricordo-chi-sono-io (la scena del mezzo musical “Fausta” va pubblicata su You Tube). Digressioni nell’arte teatrale, nella letteratura, nell’epos tragico (complesso di Edipo alla Jim Morrison, father i’ll kill you) citazioni (i racconti di Hoffmann) e caramellosi divertissment. Si perde nel finale, però. Affossato nell’abuso mellifluo della completezza narrativa. Peccato, stava per raggiungere “Gran Torino” di Eastwood nei film più belli del 2009. E invece.
Autore: Alessandro Chetta