di Woody Allen, con Evan Rachel Wood, Henry Cavill, Larry David, Patricia Clarckson
Canticchiate per due volte consecutive “tanti auguri a te” mentre vi lavate le mani. I germi a quel punto saranno per forza neutralizzati. Se non vi è piaciuto l’ultimo Woody Allen almeno avrete appreso un metodo maccheronico per eliminare i batteri dalle mani sporche in tempi di influenza suina. E’ lo stesso protagonista di “Basta che funzioni”, Boris Yellnikoff, che ci insegna il giochino. Uno che della sua quotidiana tendenza alla Perfezione Assoluta mena gran vanto. YelnikofF (Larry David) è un lampante alter ego di Allen, dunque tendenzialmente misantropo anzi accecato dalla misantropia. Non sopporta nessuno: per lui sono tutti ebeti, sciocchi, vermetti, pure i bambini che a cui dà lezione di scacchi. “Signora suo figlio è un perfetto imbecille”. Personaggio “letterario” tornito benissimo: Woody è del mestiere.
E allora per divertirci, massì, poniamolo a confronto con il reduce esulcerato di “Gran Torino”, l’ultimo immenso Clint Eastwood. Quest’ultimo, vegliardo del New Jersey in perenne battaglia col mondo ma libero da pretese intellettuali, si redime grazie all’amore, in senso alto, di una famiglia di indocinesi. L’altro, Yelnikoff, si identifica col suo creatore, Allen, che ha i suoi annetti e le idiosincrasie cominciano straordinariamente ad accumularsi. E poi – la medicina è sempre quella – piomba sulla sua strada una lolita, sciocca e angelicata, che lo rimette al mondo.
Nei due film l’epilogo diverge. Se Eastwood accarezza da martire l’epos novecentesco a stelle e strisce, Allen si limita a sdilinquire il so(g)nno americano nel “tutti contenti”, etero e non, e chiude così l’ellissi della commediola acida. Pellicola brillante, graziosa. Ma è il classico film di Woody da “ok, carino, avanti un altro”. Un divertissment rispetto al pur leggero “Vicky Cristina Barcelona”.
Da un po’ di anni, tutti i fans di Allen sperano in segreto che il cineasta ultrasettantenne rifaccia lo strabiliante “Match Point”. Così non è, anche se con “Sogni e delitti” c’era quasi, e ci si rimane un po’ male.
Autore: Alessandro Chetta