Ha vinto l’ultima edizione del Festival di Cannes, conquistando la Palma D’Oro e spuntandola sul Gomorra di Matteo Garrone e sul Divo (Gran premio e premio della Giuria) di Paolo Sorrentino.
Non chiedetevi del come e del perché.
E non credete a Gérard Lefort di Libération quando vi dice che “La classe abbatte le porte, apre le finestre, fa circolare la corrente dell’intelligenza e accende la fiamma del cinema” piuttosto si respira un’aria stantia in “Entre le murs” di Cantet, un’opera che non propone modelli non – come sostiene Lefort – perché “ si immerge nella realtà” piuttosto, che si rifà ad un filone ormai consolidato in Francia di un cinema – documento asciutto, scarico di orpelli, un cinema vero di fiction à la Grande Fratello in cui lo spettatore è un voyeur poco stimolato, annoiato video-spettatore di una realtà povera di pregnanza, senza valore storico, né mitico.
Se “La classe” non propone modelli è semplicemente perché non può permetterselo, alla faccia di Garrone e Sorrentino che delle credenziali per fare Storia (anche se “solo” del cinema) ce ne hanno e come.
Prendete un professore vero (il docente protagonista è lo stesso François Bégaudeau, autore del bestseller da cui è stata tratta la pellicola), possibilmente che abbia avuto un enorme successo con il libro che racconta le sue gesta di demagogo, piazzatelo in una scuola, rigorosamente di periferia, aggiungete un pizzico di slang giovanile, una spruzzata di parolacce, qualche cazzotto, una tragedia qua e là, lacrimucce, inquadrature di sbieco o comunque fuori asse (per dare una sfumatura neorealista), qualche occhiata dritta in cinepresa, un paio di spalle per stimolare il ritmo del film, annullate la musica (che altrimenti distoglie lo spettatore dai dialoghi) e avrete avuto il filmino di fine anno di qualunque corso di cinema in una qualsiasi scuola del mondo.
Cantet – che invece è un tipo furbo – fa di più. Mette in piedi un casting all’interno di una scuola, arruola studenti attori per fare del suo, un film di fiction dal vero. Un ossimoro puro e senza senso.
Altro che quel capolavoro di “Io speriamo che me la cavo” di wertumulleriana fattura.
Cantet ha affermato di voler fare un film in grado di non uscire dalle mura, di non andare oltre il perimetro della sua classe.
Purtroppo Cannes, l’ha fatto “sforare”, portandolo oltre frontiera e ahinoi, anche in Italia non ci resta, che cominciare a sbuffare.
Autore: Michela Aprea