La voglia di verità che caratterizza il cinema contemporaneo ha affermato la consuetudine di girare film biografici, anche ad alto costo, i cui ispiratori sono ancora in vita.
Ma se il regista napoletano Paolo Sorrentino per realizzare “Il Divo” avesse aspettato la morte del suo protagonista forse “sarebbe morto prima lui”. Proprio qualcosa di simile avrebbe detto probabilmente Giulio Andreotti.
Si perché è proprio il 7 volte presidente del consiglio quello interpretato da un camaleontico Tony Servillo, che segna i tratti di un personaggio caustico e ironico degno di un Woody Allen prima maniera (il fantasma di Orsete Lionello?), ma anche esasperatamente ingessato e che ordina omicidi di Stato con inappuntabile garbo ma ha difficoltà a togliere dal suo passaggio un gatto del Quirinale.
Nell’opera viene supportato da un sorprendente Carlo Buccirosso nel ruolo del rampante Cirino Pomicino che con Andreotti, oltre ai momenti chiave della politica, condivide soprattutto la vita mondana. Ciò conferisce alla trenetennale vicenda della politica italiana, durante la quale bisognova “turarsi il naso e votare dc”, un tono alquanto pulcinellesco.
Nel mezzo, i processi, il terrorismo e la mafia, non piu al suono ossessivo e decadente di Ennio Morricone, ma con l’appeal e la freschezza dell’indie-rock al quale il regista ci ha abituato.
Quest’ultimo, con virate distopiche tra il Dott. Stranamore e Indagine su un cittadino… pone le basi per una nuova esaltante stagione del cinema d’inchiesta italiano, in cui proprio per bocca d’Andreotti viene declamato quel “Noi perpetuiamo il male per il bene comune” che gela gli spettatori nelle poltrone e restituisce un senso non solo al film ma alla politica italiana dal dopoguerra a Tangentopoli.
Autore: Enzo Credo