Ci si ricorda degli anni ’80 come di quegli anni in cui ruggivano artisti del calibro della Rettore e di Amanda Lear, imperavano le spalline, le pins e tutti ma proprio tutti ci si faceva di eroina (anche noi ragazzi che usavamo assumerne dosi massicce leccando francobolli o “azzeccandoci” delle pseudo figurine sul braccio).
Li ricordiamo come anni rampanti, luccicanti di strass e imperiosi come cotonature miraboliche. Li abbiamo vissuti così, chi guardando Bim Bum Bam e chi tra un disco dei Duran Duran e un film con Michael J. Fox.
Ma in questa bailamme godereccia scordiamo che gli anni ’80 sono stati in realtà degli anni di merda.
Tra attentati terroristici, avanzata di Craxi, debito pubblico galoppante e cassa integrazione a fiumi, l’Italia come oggi, forse meno di oggi, si trasformò ben presto in un inferno. Soprattutto per chi in fabbrica, ogni giorno si sudava il salario.
È questo il contesto all’interno del quale ruota la vicenda di Emma. Una ragazza rampante, con mezza laurea in matematica in tasca, un mezzo fidanzato ingegnere e una specie di lavoro nel settore della ricerca e sviluppo della Fiat.
È nata a Torino, ma nelle sue vene scorre sangue meridionale. Quello di gente sfruttata, che anche quando si ribella alla fine non ottiene niente, geneticamente votati alla flessibilità perché storicamente portati a piegarsi.
Wilma Labate, la segue lungo questo suo ritorno alle origini, lasciando sullo sfondo la Fiat, la cassa integrazione per quindicimila operai, le sofferenze, la sfiducia, la storica “marcia dei quadri” che determinò la sconfitta definitiva del sindacalismo italiano.
Signorinaeffe – titolo che parafrasa uno storico documentario dedicato alla Fiat (“Signora Fiat”) – avrebbe potuto essere proprio un bel film. Peccato che la vicenda personale di Emma che avrebbe potuto starsene lì sullo sfondo, ha praticamente risucchiato tutto il film. Peccato per quei filmati, bellissimi, prestati dal Museo del Cinema di Torino e presi a piene mani da chissà quale altro archivio.
Sono stati il momento migliore del film. Forse un po’ sprecati, forse no.
Al di là di tutto la Labate ha comunque il merito di aver raccontato un periodo buio della storia italiana e di aver posto luce su una categoria sociale, quella degli operai, poco rappresentata dal cinema, dalla tv, dai quotidiani.
Autore: Michela Aprea