Mio fratello è figlio unico perché è convinto che Chinaglia non può passare al Frosinone. Stornellava così Rino Gaetano (poeta e cazzaro sublime morto troppo giovane). Figli unici, eppure fratelli di sangue, stravolti da un insolito destino nell’azzurro stagno degli anni Settanta sono il giovin Scamarcio – james dean del tavoliere – e Elio Germano – a suo modo golden boy pure lui. Sono due fratelli ciociari (ma l’accento non si sente, cari sceneggiatori), coppia scoppiata che esprime un acerbo senso di solitudine estrema intervallato da istanti di unione cerebrale assoluta. La solitudine della classe proletaria, ci racconta l’abile Luchetti, è la malattia di quel decennio-polveriera in cui per evitare di trovarsi a giocare con la giovinezza senza nessuno intorno, sceglievi presto da che parte stare: destra destra o sinistra sinistra. E’ anche un modo, quello del film, di contrapporre un disperato bisogno di fare setta all’individualismo tecnologico dei coetanei nel 2007, che da una stanza all’altra della casa per risparmiarsi lo sguardo altrui si contattano con messanger. Ma lo sguardo conta: e Germano, nel ruolo di Accio fottuto fascio-anarchico sfigato dalle mille qualità, è stato scelto perché riesce a trasmettere sentimenti diversi – amore, fanatismo, inadeguatezza – con la mutevole plasticità del volto. Ci riesce molto più di Scamarcio-Manrico, figura monoespressiva, solenne e terribilmente cadùca come tutti i discepoli della lotta armata.
Il regista de “Il Portaborse” s’è svegliato dal sonno take-it-easy in cui s’era confinato negli ultimi lavori e ci da dentro col “romanzo di formazione”. Personaggi torniti, anche se Germano recita meglio, che Luchetti accompagna lungo la risalita acida degli anni Settanta. Gli eventi storici del tempo vengono confinati, giustamente, sullo sfondo. A farsi carico della trama sono le biografie dei fratelli separati dalle vicissitudini (e da quegli eventi storici). Regia più elettrica che pianeggiante. Atmosfere fotografiche calde, provinciali al punto giusto, ricostruite senza strafare.
Unico film italiano presente (fuori concorso) a Cannes 2007, insieme a “Centochiodi” di Olmi.
Autore: Alessandro Chetta