A detta di alcuni il cinema italiano sta vivendo un periodo di stasi creativa dimostrato dall’assenza di film nostrani in concorso a Cannes, ma la grande defezione della Croisette non è la prova di alcunché.
L’Italia è invece recipiente interessante di vari lavori, a partire dall’ultima fatica di Olmi “Centochiodi”, passando per “Mio fratello è figlio unico”di Lucchetti ,”In Memoria di Me” di Costanzo, “Lezioni di Volo” (la Archibugi è stata immeritatamente vilipesa da quasi tutta la critica), arrivando fino a “Notturno Bus”. Quest’ultimo è il semiesordio di Davide Marengo che con un film pregno di dinamismo esibisce una sicurezza di regia considerevole.
Il buon esito dell’opera è da attribuire anche, se non soprattutto, ad un lavoro di sceneggiatura, quello di Fabio Bonifacci e Giampiero Rigosi (l’autore del libro da cui è tratto il film), davvero pregevole. La trama ruota attorno ad una vicenda che non si chiarifica per bene nemmeno dopo l’epilogo, ma questa vaghezza non è dovuta ad una narrazione inefficace bensì ad una piacevole gratuità hitchcockiana: il microchip è un macguffin, quell’elemento pretestuoso ed insignificante causa di tutte le peripezie; il maestro inglese lo teorizzò nelle celeberrime conversazioni con Truffaut. I presupposti da cui partire non potevano che essere così saldi se si considera la mole impegnativa di avvenimenti e capovolgimenti della storia, per altro tutti ben appurati in sede di script. Gli incastri scattano come molle quasi volessero strozzare i personaggi nelle loro azioni e, seppure mancano i colpi di scena veri e propri, il ritmo non cede mai.
È esplicita l’operazione di recupero intentata da Marengo, il suo obiettivo è un ibrido cinematografico a metà strada tra action movie e noir cui si aggiunge una fantasiosa vena fumettistica. Reggere il confronto con la classicità però è una sfida dura che rappresenta forse l’unico fallimento del film: o meglio questa debolezza di una struttura fin troppo decodificabile (l’antieroe nerd che si converte in eroe; la catarsi dell’eroina prima inguaribile menefreghista poi sensibile femme fatale) è in ogni modo anche il suo punto di forza.
La citazione delle atmosfere dei film di genere sono a più riprese dileggiate dal personaggio simpaticamente sgradevole di Francesco Pannolino ( ra l’altro doppiatore di Denzel Washington, George Clooney e tanti altri), ma c’è la sensazione che questa eredità possa sfibrare tutto l’andamento del film. La figura del capo polacco, ripreso quasi sempre in penombra, è ridicola più o meno quanto alcune battute della Mezzogiorno che vogliono stabilire un’area di maledettismo prettamente inappropriato. Però l’assetto totale regge in maniera eccellente anche grazie all’intervento tempestivo di toni commediaioli condotti sempre da un Mastrandrea ironico e compassato.
Insomma un risultato ottimo: il film non presenta molti strati d’innovazione, anzi l’originalità lascia il posto ad una certosina rapsodia di vezzi filmici ( come già detto, carenza e punto di forza di “Notturno Bus”). Si approda quindi ad un’inedita proposizione della citazione cinematografica tramutata in qualcosa che si situa tra lo stereotipo, l’omaggio ed il riutilizzo per motivi di scrittura.
Autore: Roberto Urbani