Il re è nudo come un verme davanti ai quesiti di Borat. Il sovrano è l’occidente ripulito e civile messo in crisi dall’incanto abborracciato di questo “alieno”. Lui, Borat Sagdiyev (alter-ego di Ali G, alias Sacha Baron Cohen, comico inglese), fa il giornalista tv, viene dal Kazakistan, landa sperduta dell’Asia ex sovietica, e gira per gli Stati Uniti d’America. Per fare? Ufficialmente un documentario sull’american way of life ma in realtà non si capisce bene cosa cercano a New York il giornalista e il suo mentore chiapputo; tanto che le loro peripezie vengono riprese da un non ben identificato cameraman, anzi un cameraman che non c’è (ma anche questo “fantasma” ha un suo significato).
Scopo del Borat-pensiero, ipotizzato dall’autore il regista Larry Charles con Sacha Cohen, è smantellare, distruggere, deflorare, le ipocrisie americane e in generale il cosiddetto “Primo mondo” attraverso un atteggiamento che fila tra sarcastico e nonsense. Se poi rimane tempo, si può anche pensare di andare in California a trombarsi Pamela Anderson. Perbenismi, affettazioni, tic, trastulli politically correct, vanno a farsi benedire, divorati dalla ricerca socratica del demone Borat che con il suo “interrogare” riesce ad abbattere un centinaio di centri di gravità permanente.
Sasha Cohen storpia l’inno americano, parla male degli zingari, malissimo degli ebrei (visti come insetti a cui lanciare dollari!), frantuma i circoli culturali mostrando un sacchetto con la cacca appena prodotta, urla di gioia alla morte della moglie butterata, sbeffeggia i cristianissimi ultrà di Gesù e persino i portatori di handicap. Un kazako rustico, ingenuo e balordo, che fa a pezzi il moralismo azzeccoso di cui infarciamo azioni, discorsi, lessico, relazioni col prossimo.
Sullo schermo corre avanti e indietro un bambinone che continua a ripetere a chi lo guarda: fratello caro, l’uomo dell’ovest è nudo! Spogliato della pelliccia conformista di cui si è ricoperto negli ultimi sessant’anni. Il succo: incivili noi bifolchi kazaki che detestiamo per ragioni di immutabile antipatia storica i rom, gli uzbeki, i giudei; ma altrettanto spregevoli anche voi americaneuropei che non odiate nessuno platealmente perchè “non si fa” ma avete la fedina penale (della storia) parecchio sporca.
Questa pellicola bellamente low-fi è una secchiata in faccia di glaciale purezza buffonesca. Un giullare coi baffi e un sospensorio che urla vendetta, ci ha detto ancora una volta la verità.
Piesse: diciamolo, il film più divertente degli ultimi anni.
Autore: Alessandro Chetta