“Voglio il tuo profumo”. Riff e stacco di batteria. “Voglio il tuo profumo”. Così cantava sul finire degli 80 – ricorderete – Gianna Nannini: lei, sì, lei avrebbe apprezzato la ricerca del giovane Jean Baptiste Grenouille, il protagonista con un nome da folletto scalzo di “Profumo”; un omuncolo che gli aromi delle cose, i “profumi”, li riconosce e li vuole tutti. Un bracconiere senza se e senza ma dei vaghi fumi che imprimono l’olfatto. Che anche quando sono cattivi e putridi lo fanno godere (vieni a farti un giro a Napoli e provincia in questi giorni di monnezza per le strade JBaptiste). Il ragazzo ha un “naso” prodigioso, sente quasi nello stesso istante l’odore di tutto ciò che lo circonda, ma impazzisce quando si rende conto di non averne uno proprio. Ma poi la Nannini, lady rock all’italiana, avrebbe condiviso le esperienze noir del nostro? Lui comincia ad uccidere le fanciulle per succhiarne via, una volta cadaveri, il profumo ultimo, la quintessenza. E mischiando le fragranze di ognuna mira ad ottenere una pozione indicibile, divina. Il tedesco Tom Tykwer trae questa favola per adulti dall’inquietante libro “Profumo” di Patrick Süskind, che si è deciso a rilasciare la liberatoria dopo aver detto no, si dice, a Scorsese e Kubrik. L’autore di “Lola Corre” fa impiego della sua mirabolante cassetta degli attrezzi: del montaggio “tantra” dai tagli affilati e brevi; dell’abuso “narrante” dei rallenty, e nel gusto del racconto reiterato, tortile, che con Lola assumeva sembianze deliziosamente spastiche e qui alla lunga aggredisce alla gola spettatore, improvvisamente sbattuto davanti a Jean Baptiste dagli occhi profondi come una cava abusiva, che per un soffio non è Oliver Twist e per una virgola non diventa Jack lo squartatore. Insomma un personaggio dei Cohen ma ben remixato dal dj-regista tedesco Tykwer.
Trama decisamente originale (con cameo sostanzioso di Dustin Hoffman), e ambientazione curata fino all’ultimo granello di fuliggine nella Francia stracciona pre-girondina di metà Settecento. Ma questo non è un film videogioco, e il pettine che ordina i fotogrammi perfezionandoli fino alla lussuria delle immagini non fa bene al cuore del sottoscritto. Così come l’eccessivo dondolare del commento sonoro onnipresente. O i tempi troppo dilatati e dis-tratti della storia. Un di più, nonostante l’energia della novella e la forza fotografica degli ambienti (bellissimi campi di viole, rocche, paesaggi, ponti di case accavallate) basterebbero a sé.
Però la pellicola prende, cresce, e se non hai letto Süskind pensi “come caspita andrà a finire?”. L’epilogo sbalordisce: lui, sul patibolo, scatena la potenza della pozione e diventa un Cristo solo d’amore, afrodisiaco dispensatore di eros, così che i mille presenti nell’ampia piazza sciogliendo gli umori infetti fanno all’amore, nell’orgia delle orge, un Michelangelo o un Luca Signorelli porno. Un gorgo di carne di decisa potenza (ma è computer grafica o hanno davvero trombato tutte e duecento le comparse?). Intrigante la riflessione che – infine – ne fuoriesce sulla solitudine e sul non ordinario bisogno di sentimento degli esseri umani “alieni”, come JBaptiste, pronti anche a farsi sbranare dalla fame d’amore di altri reietti. Prendete e mangiatene tutti…
Autore: Sandro Chetta