E’ una storia semplice, drammatica, ma priva d’intrecci quella che Gianni Amelio ha deciso di raccontare nel suo nuovo film “La stella che non c’è” . Sergio Castellitto è Vincenzo Buonavolontà, nomen omen, responsabile della manutenzione del grande impianto siderurgico di Bagnoli che sta per essere ceduto ad un’azienda cinese. L’altoforno che verrà smantellato ha un grave difetto che ne impedisce il corretto funzionamento e il manutentore è l’unico in grado di aggiustarlo, per questo illustra il problema agli acquirenti. Vincenzo teme che possano verificarsi degli incidenti agli operai che manovreranno i macchinari, ma la delegazione cinese giunta in Italia per rilevare l’impianto non gli presta ascolto. Spinto dai buoni propositi e convinto di poter rimediare, decide di volare a Shanghai per portare di persona la centralina idraulica da lui modificata. Inizia così il lungo viaggio di Vincenzo nella terra di Mao, tra metropoli, villaggi e cantieri, paesaggi polverosi poco rispondenti all’idea che si era fatto di quel paese, in cerca dell’acciaieria a cui nel frattempo è stato rivenduto l’altoforno. In compagnia di Liu Hua, (l’esordiente Tai Ling), una giovane traduttrice dai delicati tratti orientali, attraverserà Shanghai, Wuhan, Chongqing, Yinchuan, Baotou e la Mongolia interna, fornendo un ritratto autentico della Cina, mai visto prima.
Tratto dal romanzo di Ermanno Rea “la dismissione”, il film di Amelio cura principalmente l’aspetto documentaristico trascurando la storia dei due personaggi, strumenti di cui si serve invece per mostrare allo spettatore la dura realtà che si cela dietro i grattacieli scintillanti del gigante asiatico. Ritornano i temi da sempre cari al regista: la paternità, l’onestà, il viaggio, la diversità e soprattutto “l’assenza” che, come si comprende anche dal titolo, è il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto. Non c’è il padre del bambino di Liu Hua, non c’è la ricchezza che Vincenzo si aspettava, non esiste una lingua per comunicare, non nasce l’amore tra i due, non verrà mai utilizzata la centralina modificata. E che non ci sia neanche retorica lo s’intuisce dai silenzi e dagli sguardi di un Castellitto minimale, che riempiono una storia priva di una reale attrattiva, dove il personaggio si muove in virtù di un obbiettivo tanto nobile quanto arido.
Si scopre infine, che la stella che non c’è in realtà è tutto, è ciò che da colore alla vita e la sua assenza produce un profondo senso di sconforto.
Autore: Valentina Barretta