I due fratellastri vanno nella categoria sfigati, ognuno per meriti sul campo. Uno, Micheal, secchione ma geniale ricercatore genetico si conserva vergine fino e oltre la soglia dei 30, pur avendo una fidanzatina; invece al secondo, Bruno, non gli si drizza più con la moglie – che anche in reggicalze di nylon lo lascia indifferente -, e per di più prende un due di picche anche dalla studentessa con la minigonna furbetta. Va in analisi. Sono accadimenti che compongono un mosaico fatto di particelle elementari, filamenti di vita. Micheal e Bruno hanno in comune una madre hippy che ne ha sconvolto l’educazione sessuale, adesso terribilmente compromessa.
Le particelle hanno vita intensa, difficile, con felicità a momenti per citare volentieri non Socrate ma Carotone.
Si tratta di cinema tedesco di sagomata qualità. Che trae linfa dagli scritti di un francese – il film è tratto dal romanzo di Houellebecq – e sa di buono fino a quando non sfocia nel patetico registico, sbilanciandosi nelle alterne (s)fortune volute dallo scrittore transalpino con brodosa lentezza. Tartarughismo emotivo che non è meditazione chirurgica sulla catastrofe delle particelle (le quali in qualche misura restano fortunatamente sempre ri-generanti), ma compiacimento sadico nel veder piangere e disperarsi quella faccia di bimbo latino che è Moritz Bleibtreu…
Autore: Sandro Chetta