Era da sette anni che l’ottantenne Sidney Lumet non si trovava dietro la macchina da presa. Questa astinenza, inaccettabile per un cineasta della sua statura artistica, viene rotta con “Find Me Guilty – Prova a incastrarmi”.
Pellicola dai toni vivacissimi che sposa una comicità becera e volutamente volgare con tempi da commedia ineccepibili. L’istrione Vin Diesel ne è il protagonista e la sua performance sbalorditiva lo qualifica come attore a tutti gli effetti, sottraendolo a quella fama di professionista della cinematografia minore.
La trama è la trasposizione romanzata di una vicenda giudiziaria, realmente accaduta, che durò ben 21 mesi. Il caso da cui è tratto il film narra del signor Jack DiNorscio che riuscì a difendersi dalle accuse di mafia senza bisogno di avvocato. Con in sottofondo una colonna sonora jazzistica, il film rappresenta esclusivamente questo iter giudiziario nella sua straordinarietà. Diesel è l’anima di ogni fotogramma e riesce a riempire con la propria mimica lo spazio scenico.
A dirigere con sapiente maestria c’è il grande Lumet che di esperienze forensi ne sa qualcosa (“La Parola ai Giurati”). Il grande merito del cineasta è che nessun tassello denuncia propositi pretenziosi. Tutto, dall’intreccio alla sceneggiatura, è dichiaratamente volto ad una cadenza fictional sgravata da ogni ambizione di sorta. Una storia che sceglie percorsi narrativi comodi, ma non rende i convenzionalismi di genere un aspetto costitutivo della trama. La scelta stessa dell’attore principale indica l’intenzione del regista, che vuole lasciare più spazio all’intrattenimento da commedia scanzonata rispetto alla tragedia. Le due ore filano via senza accorgersene, tra frizzi e lazzi di disimpegno pregevole. Le deficienze sono poche come la scontata sentenza dei giurati, sepolta sotto una corrosiva leggerezza stilistica che è il motivo di fondo di tutta la pellicola.
Lumet tratteggia un divertito affresco delle giungle giuridiche, ambienti dimentichi dell’umanità in cui vige la guerra di tutti contro tutti. L’avidità e la sopraffazione in gioco inducono lo spettatore a parteggiare per i cattivi, unici testimoni di un sentimento genuino. Il milieu gangsteriano non è protagonista di situazione stereotipate e questo è dovuto anche alle incalzanti frecciate che si susseguono in aula con annesse obiezioni. Diesel è un cabarettista mancato che grazie alla sua vis comica ammansisce i giurati e ne esce trionfatore. Da grande veterano Lumet dà prova di un immutato talento che in un’intera carriera ha esplorato la sua America alla luce di svariati registri drammatici.
Autore: Roberto Urbani