Il quasi cinquantenne Spike Lee non ha dato di matto. È lecito chiederselo vista la sua filmografia lontana anni luce dal cinema di genere, ben distante dalle logiche del box office. Invece “Inside Man” è una sorpresa perchè il regista afroamericano si scopre mestierante dalla tecnica impeccabile e da un tocco piacevolmente asciutto. Non è però un esclusivo tripudio di essenzialità questo thriller congegnato ad arte, bensì un prodotto che scompagina strutture acquisite per rinverdirne l’impatto. Una rapina, raccontata dal suo artefice (il grande e straordinariamente inespressivo Clive Owen), in cui nessuno ruba soldi e i rapinatori si smaterializzano senza lasciare traccia. Non si tratta di stravaganze ingiustificate, ma di anfratti ben cesellati in una trama che rasenta la quadratura del cerchio.
L’irrefrenabile convulsione della macchina di Lee si muove con compiaciuta geometria senza ardire nessun virtuosismo, anche perchè non c’è bisogno di articolare oltre questo plot mozzafiato in cui la fanno da padrone inusitati flashforward. Denzel Washington non si risparmia col regista che gli ha fornito già tre collaborazioni, e regala una pregevole interpretazione come l’algida Jodie Foster. In verità “Dog Day Afternoon” non è altro che una esplicita citazione e non un rimando artistico, d’altronde non si potrebbe gettare un ponte tra due opere inaccostabili. Gli intenti coraggiosi della pellicola di Lee non rigettano riferimenti razziali, sondando dal di dentro gli scompensi sociali della New York post-9/11, ma si guardano bene dal porli al centro dell’attenzione. L’eccezione è che un svolgimento drammatico al cardiopalma comprenda nel ventaglio della sue significazioni elementi tutt’altro che inediti, e alla fine riesca ad ammaliare. In sede di scandaglio critico non si può ignorare un nerbo registico lucido e scanzonatamente in confidenza con un genere abusato da Hollywood. Allo stesso tempo sorprendono i leggerissimi 129 minuti in cui la gestione della brillante sceneggiatura di Russell Gewirtz non tocca mai lo stucchevole grazie ad una smodata suspence. Hitchcockianamente l’identità del furbacchione Owen viene mostrata subito per caricare di tensione la narrazione complicata da spiazzante anacronia.
Si conoscono le palesi intenzioni di un “piano perfetto” ma non come lo si metterà in atto. Questo stato di semicoscienza dello spettatore permette ad “Inside Man” di non scolorire nel suo fluire sincopato anche quando l’iter consunto di negoziazione con il rapinatore incalza. L’arcano del criminale si spiega con tempestività mentre la significativa dimensione delinquenziale si sposa inaspettatamente con cause intellettuali, in cui Lee ficca crimini di guerra pregressi.
Un film mainstream nella patinata confezione ma che smette le pose dei convenzionalismi prima ancora d’iniziare, già nel suo incedere tortuoso venato di inquietanti tracce politiche. Spike Lee dimentica le questioni razziali degli albori per sublimare il proprio talento nella cifra genuina del mezzo cinematografico, quest’ultimo padroneggiato in un valzer di sinuose sferzate registiche.
IL TRAILER
In sostanza rispetta la linea narrativa del film per consegnare intatto il suo grande potere attrattivo, proprio di un detonatore pronto ad esplodere da un momento all’altro. Magari un po’ troppo artificioso nell’innescare la miccia che deve convincere l’eventuale spettatore, lo spot si riscatta completamente con il pur tardivo climax conclusivo.
Autore: Roberto Urbani