Il trending del cinema odierno è nettamente orientato verso tematiche politiche e le nominations all’Oscar sono lì a dimostrarlo con titoli come “Syriana” o “Good Night and Good Luck”. Ma, caso abbastanza raro, a seguire questa voga c’è anche uno dei più illustri registi contemporanei. Steven Spielberg, infatti, si misura con temi importanti nel suo ultimo lavoro “Munich”, scelto anch’esso alle candidature dell’Academy.
Il film è un vero e proprio resoconto di un fatto politico risalente a trent’anni fa, ma visto con gli occhi di un americano testimone dell’11 Settembre. La vicenda mette in scena l’uccisione degli undici atleti ebrei alle Olimpiadi del 1972 e, soprattutto, la conseguente reazione di Israele a questo agguato terroristico. La locandina recita che la trama è incentrata su “quello che è successo dopo”, ma in verità mente perchè l’attentato di Monaco riemergerà sempre nella trama fino ad invadere il ritmo serrato.
Eric Bana, protagonista nei panni di Avner, è assoldato in incognito da Golda Meir per uccidere i responsabili dell’attentato. Il suo compito gli dovrebbe suggerire un conflitto etico, prima che morale, da dubbio amletico. Ma Spielberg gioca d’astuzia e colloca questa divergenza interiore nella seconda parte del film, quando Bana e gli altri sicari (tra cui il neo-James Bond Daniele Craig e Mathieu Kassovitz) hanno già le mani sporche di sangue. Il film vuole incoraggiare questo dissidio per illustrare le ferite della guerra medio-orientale e lo fa con decisa intensità, senza cadute di ritmo notevoli. Certo, il minutaggio della pellicola è eccessivo ma è tangibile una sicurezza registica disarmante che salva l’attenzione dello spettatore. Spielberg si diletta in movimenti di macchina che non scadono mai nel virtuosismo e non dimentica la grammatica cinematografica basilare quando le cadenze si fanno thrilling da film di spionaggio. Il problema dell’ingranaggio narrativo è però il troppo brusco voltafaccia del protagonista, che nella parte conclusiva si scopre vittima, pur essendo carnefice, solo quando rischia la propria incolumità fisica e quella della sua famiglia. Ridondante il montaggio finale che accosta un flash back onirico della strage olimpica ad una scena di sesso strascicando il patetismo ben oltre il limite di sopportazione. L’interrogativo, che sottende a tutto il film, è : cosa scegliere tra l’irenismo immobilista e la risposta militare? Fin troppo esplicita l’attualità di questo domanda che viene poi ribadita nella sequenza finale, in cui troneggiano sullo sfondo le ancora intatte torri gemelle. Spielberg ha il merito di non schierarsi e di non tracciare traiettorie banali in una vexata questio come quella isrealo-palestinese. Ciò che incuriosisce è che viene lanciato indirettamente un monito alla politica guerrafondaia di Bush. Gli Stati Uniti potrebbero non trovare nel bellicismo la panacea per l’intricata situazione internazionale, ritrovandosi di fatto vittime e carnefici allo stesso tempo.
Autore: Roberto Urbani