Due dolci sposine s’è scelto Tim Burton, sicuramente più espressive di Nicoletta Braschi, sposina anche lei, ma nei temi onirici della “tigre” benignesca. Due, quindi: l’una impomatata come una damina da carillon, promessa per interesse dai genitori ai pescivendoli parvenu; l’altra blu livido, emaciata, con gli occhi scavati dai vermi, ingrigita dall’abito di nozze insozzato, che ruba sfacciata un po’ di vita alla morte. E che ringrazia lo stesso Burton (e la moglie Helena Bonham Carter che lo ha coadiuvato) per averla fatta protagonista di una sua opera prima che la storia della “Sposa Cadavere”, tratta da una fiaba russa, finisse a smielarsi tra le politiche editoriali della nuova Disney. La plastilina al potere: gli attori che prendono la scena sono pupazzi modellati, per intenderci, con una specie di sofisticatissimo pongo e in maniera straordinariamente meticolosa. Si muovono in stop-motion, tecnica per la quale è necessaria la pazienza di un monaco tibetano drogato a morfina: ogni scambio di battute è una folle miriade di inquadrature diverse. Roba da una giornata e mezzo di lavoro soltanto per mostrare il parentado dello sposo salire in carrozza. La storia: Victor è costretto – al pari della futura consorte – a contrarre matrimonio per le combine dei genitori. Mercanti arricchiti i suoi, nobili sull’orlo della bancarotta quelli della mogliettina, da lui tra l’altro mai vista prima. Accade che per pasticci vari lo sgangherato Victor si ritrovi in una radura. Qui, esercitandosi a pronunciare le frasi di rito matrimoniale, s’imbatte in una sposa cadavere, ossia il fantasma di una giovane donna abbandonata dal marito proprio nel giorno delle nozze. Lei ne equivoca le parole, credendo di aver trovato l’anima gemella persa tempo fa. Il caratterizzante humour nero del regista fa scoppiettare la verve degli attori marionette e impennare strada facendo l’andazzo turbolento della vicenda, di per sé molto originale.
Burton – che, ricordiamolo, non è essere umano ma uno spettinato mago merlino in gita premio sul pianeta Terra – crea questa, significante, distinzione: dipinge il mondo dell’Aldiqua con l’intera scala cromatica di grigi, e l’Adilà o la sorta di Limbo in cui è sospesa la fantasmatica sposa, con un arcobaleno di colori pieni e sparati.
Nel guardare con appetito da bimbi “The Bride”, tutti saltano, e non a torto, a diversi Natali fa, al “Nightmare Before Christmas” del medesimo regista, diventato un cult del filone scarie-dark in plastilina. A parità di avventura fantasmagorica, il film sulle nozze funeree si avvantaggia però di una tecnologia più sofisticata (meccanismi che modificano l’espressione dei volti, software che “simulano” (addirittura!) movenze da stop-motion, ecc.).
Alla “Sposa” imputiamo qualche romanticismo alla naftalina di troppo, ma l’avanspettacolo dei mostriciattoli dell’Oltretomba sfiora la genialità. Come hanno scritto, è un Burton “da cinema puro, senza se e senza ma”.
Autore: Sandro Chetta