Di film come The Descent, il cinema ha bisogno. Un thriller o un horror? Già questa difficoltà nel classificarlo, nel dargli una definitiva collocazione critica, rappresenta un dato importante, quanto inconsueto. Da qualche tempo, infatti, il cinema di genere presenta sempre lavori troppo manichei, che non rifiutano le etichette ed anzi cercano di soddisfare tutte i clichè del genere senza pudore. Il nuovo film scritto e diretto dal trentacinquenne Neil Marshall è un’eccezione ( anche se non eccezionale), perchè pur avendo una trama piuttosto debole, rifiuta i percorsi abitudinari del genere per riuscire a scrutare nuove strade, nuove alternative di sceneggiatura. Il racconto è improntato su un gruppo di ragazze che decide di avventurarsi in un’esplorazione speleologica per puro divertimento e, soprattutto, per distogliere Sarah dal recente incidente che le ha portato via sia marito che figlia. Per colpa della capo-spedizione Juno però si perderanno in un percorso non illustrato dalla mappa, e per sopravvivere dovranno combattere contro degli umanoidi cannibali che abitano quegli enigmatici sotterranei rocciosi.
L’idea di partenza sembra già destinata ad una realizzazione preconfezionata, ma Marshall riesce ad andare oltre l’abbozzo delle personalità psicologiche, compiendo un buon connubio tra le scene di individualismo e di collettività. C’è un ottima alternanza tra gli incontri-scontri delle ragazze e le scene d’impatto per attirare il grande pubblico. Soprattutto i colpi di scena, che di solito rappresentano dei punti deboli nei film di genere, sono ben congegnati e ben ordinati. Alcune scelte radicali, che virano verso una spettacolarizzazione tout court vengono però compensate da movimenti di macchina dinamici, ma non dispersivi. Il regista ha consegnato al pubblico il senso di oppressione e claustrofobia senza indugiare in riempitivi o strizzatine d’occhio a facili stereotipi, contrapponendo al buio ancestrale delle scene quello della sala cinematografica. La fotografia suggerisce questo accostamento inquietante e intrigante al contempo, ma non lo sbandiera lasciando al pubblico il compito di fare due più due. Gli umanoidi sono mostrati con una risolutezza lontana da ogni tentennamento. Il mostro ci viene sbattuto in faccia, filtrato anche attraverso l’obbiettivo di una telecamera amatoriale (altra similitudine con il rito del cinema) ma la cosa più angosciante è sicuramente la sua somiglianza con l’essere umano. È chiara la metafora che ci viene proposta, tra mostro e uomo, o meglio tra mostro e donna visto che un film tutto al femminile (chissà cosa ne penserebbe Bergman). Le ragazze lottano con spietatezza contro le creature informi, ma spesso si ritrovano a guerreggiare tra di loro perchè Marshall riesce a ficcare in questo contesto splatter anche l’ombra di una pregressa relazione fedifraga.
Il colpo di scena finale che accenna ad un happyend, sembra una scimmiottatura e insieme una repulsione dei film in cui l’epilogo è obbligatoriamente mieloso e dolciastro. Qui invece gli inediti percorsi scelti per narrare una storia horror, danno prova che il cinema di genere non è solo fatto per suscitare becera paura, ma anche una velata mestizia forse più opprimente e claustrofobica di un antro spettrale.
Autore: Roberto Urbani