Si è inaugurata, il 22 novembre, la Casetta della Musica, una nuova tendostruttura adiacente agli storici spazi del Palapartenope/Casa della Musica di Napoli. Sul piccolo palco, una delle pietre miliari della musica italiana: i Massimo Volume. Dopo una veloce esibizione della band d’apertura, i Lef, tocca alla band di Emidio Clementi and company, che parte subito in quarta, con “Dymaxion Song”, dal loro ultimo album, uscito di recente, intitolato “Aspettando i barbari”. Subito dopo “La notte”, per poi passare a “Compound” e alla title track del loro ultimo lavoro. Clementi, assieme alle scarse duecento persone presenti in sala, si accorge che c’è qualcosa che non va. Sembra sbottare per un po’, ma si va avanti con “La cena” (meraviglioso singolo di “Aspettando i barbari”) e “Litio” da “Cattive abitudini”. Improvvisamente, però, il frontman è costretto a fermarsi: un continuo rumore di feedback non voluto rende impossibile continuare l’esibizione, con conseguente scontento sia da parte del pubblico che da parte della band, e contestuale imprecazione (neanche troppo) sotto i baffi del leader della band.
In effetti, almeno a questo punto del concerto, la voce di Clementi, così come le chitarre, sono risultate davvero difficili da identificare (e da assaporare) nel mescolìo senza senso dei suoni. Che sia la tendostruttura o i settaggi al mixer, poco importa: da qualunque parte della sala sembra di assistere a qualcosa di diverso da un concerto. Considerando che, uno dei punti di forza del sound della storica band risiede proprio nel particolare timbro di voce di Emidio Clementi e nella sua caratteristica cadenza, non può non risultare prioritario che questa venga esaltata ai massimi livelli. E per quanto l’impianto (di tutto rispetto) si sia dimostrato capace di martellare i toraci a tutti i presenti (off limits i 10 metri quadri nei dintorni delle casse), il risultato lascia, fino ad ora, scontenti ed amareggiati, facendo emergere dalle ombre il fantasma, ben noto a tutti, della scarsa qualità dell’acustica della (più grande) tendostruttura adiacente.
Fortunatamente, però, dopo qualche minuto di silenzio, si ricomincia e questa volta col piede giusto. Voce e chitarre, così come tutti gli altri strumenti, sono riconoscibili perfettamente e, nonostante il freddo incredibilmente pungente, la tempesta di tuoni e lampi e l’incredibile pioggia scatenatasi già da qualche ora, l’atmosfera all’interno della Casetta della Musica, finalmente, si riscalda. La band risulta evidentemente più a suo agio, contenta e motivata, e così anche il pubblico. La commovente e impietosa “Le nostre ore contate”, “Dio delle zecche” e si continua con “Il nemico avanza” e “Vic Chesnutt” per poi proseguire con “Silvia Camagni”, completando quasi tutta la tracklist dell’ultimo album. Le prime note di “Fausto” scuotono l’atmosfera e, addirittura, si sente qualcuno cantare. “Da dove sono stato” conclude la prima parte dell’esibizione. L’encore inizia benissimo con la storica “Il primo Dio”, preparando il posto a “Coney Island”. Un’inaspettata sorpresa accoglie la seconda parte dell’encore: “Senza un posto dove dormire” che, a detta di storici addetti ai lavori presenti in sala, non veniva eseguita da un bel po’ di tempo. Si chiude con “Fuoco fatuo” e la impetuosa “Ororo”, datata ’93.
Tirando le somme, non si può che restare soddisfatti, seppur con riserva, della serata. La band, meravigliosa sul palco, rappresenta ancora una parte di quanto di meglio ci si possa aspettare dalla musica italiana. Indiscutibile la loro qualità: niente di nuovo sotto le costellazioni. Vera novità è stata la neonata location che, se ha fatto discutere (non poco) durante la prima parte dello show, si è dimostrata comunque all’altezza, seppur con alcuni dettagli ancora da definire.
autore: A. Alfredo Capuano