Da un disco chiamato “Honduras” ci si aspetterebbero atmosfere esotiche, umide e cariche di sonorità centroamericane. C’è l’America nella musica dei RedRoomDreamers, ma è quella del nord, quella dell’indie rock dei tardi anni ’90. A tre anni da “Rooster On The Rubbish” la formazione campana prova l’”assalto” alla maturità stilistica dando grande importanza ai particolari tecnici (non a caso un producer da panorama internazionale come Giacomo Fiorenza) e cercando di raggiungere quel livello di alt-rock maggiormente “pensato” e quindi lontano dalla spontaneità degli esordi. L’impressione è che ci riescano in maniera egregia, pur essendo in tutto e per tutto sottoprodotti di un genere musicale che spesso evoca nostalgia negli amanti dell’analogico. Perché è proprio questa la croce-delizia dei RRD: schiavi del loro stesso amore, della musica analogica ed introspettiva, di quello slowcore che, in questo caso, cerca di palesare i chiari riferimenti ai Low, ai Red House Painters e a tutto quello che è diventato poi post-rock (si, tutto sembra finire ai Radiohead).
“Going to river” apre l’album con un picco di qualità e solennità, i RedRoomDreamers dichiarano gli intenti di “Honduras”: introspezione, profondità e quel pizzico d’incompletezza che caratterizza l’essere umano, premesse interpretate nel caso della prima traccia in maniera lenta, dilatata, mettendo a disposizione dell’ascoltatore tanto (forse anche troppo) tempo per farsi avvolgere dalla melodia. ”Inside You” aumenta il ritmo, classica sgroppata di chitarre senza meta, tecnicamente ineccepibile, come del resto tutto il disco. La “sghemba” “New Day” rompe con il resto dei pezzi di “Honduras”: ritmi singhiozzanti, batteria sincopata, la variante noise del disco. Qualche parola la merita l’onirica “The Hole”, titolo aperto ad interpretazioni soggettive che lascia intravedere nel “buco” le mancanze personali di ascoltatore in ascoltatore.
Tutto funziona come dovrebbe, grazie anche alla sapiente gestione vocale di Dario Bosco capace di vestire di volta in volta i panni adatti all’atmosfera creata dai RRD. Prevalgono, a conti fatti, la lentezza e la riflessione che uniti alla metodica analogica e ad alcuni suoni primordiali fanno di Honduras un ottimo omaggio all’indie rock italiano, quello che serve all’attuale scena musicale fatta di velocità, frenetismo e synth-electro.
Il punto è delimitare bene il limite in cui la nostalgia scade in ossessione per il passato: i RedRoomDreamers sembrano tenersi lontani dal “baratro”, riservandomi però di poter cambiare idea in qualsiasi momento.
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autore: Natale De Gregorio