Sono quasi quindici anni che gli Spain non suonano a Londra. Ed è proprio da qui che parte il loro nuovo tour europeo. Nonostante la lunga assenza da queste parti, però, stasera non c’è il pubblico delle grandi occasioni, tutt’altro. Ma i presenti (“pochi ma buoni”, come si dice in questi casi) sono tutti fan appassionati, te ne accorgi dal silenzio religioso con cui ascoltano i pezzi e dal calore degli applausi, e mettono ugualmente a proprio agio i quattro musicisti sul palco. E’ un piccolo culto “sotterraneo”, quello per gli Spain. Josh Haden è uno di quei casi inspiegabili di autore tanto talentuoso quanto – per certi versi – “sfortunato”. Ti mette addosso un senso di tristezza sentirlo ripetere più volte – quasi imbarazzato – che in fondo alla sala c’è un banchetto dove sono in vendita i CD e che la band è attualmente impegnata in una campagna di fundraising per poter pubblicare un nuovo disco.
Della formazione originaria non è rimasto nessuno (quando Haden ha deciso di ripartire con il progetto nel 2007, dopo una lunga pausa, l’ha fatto con dei nuovi musicisti), ma la bellezza senza tempo delle canzoni è rimasta perfettamente intatta.
L’inizio è subito da pelle d’oca, con due tra i brani più belli di quel capolavoro che era “The Blue Moods Of Spain”, ovvero “Ten Nights” e “I Lied”. La voce di Josh Haden è limpida e cristallina come su disco, accompagnata da una band che riesce anche dal vivo a riprodurre le atmosfere malinconiche e placide dei dischi. Il suono sarà pure minimalista, ma l’intensità emotiva è massima: non c’è una sola nota “di troppo”, perché ogni singola nota è carica di significato. Gli Spain sono considerati tra i pionieri del cosiddetto “slow core”, ma tra le melodie di piccoli gioielli come “I’m still free”, “Everytime I try”, “Ray Of Light” sono stratificati decenni di popular music a stelle e strisce: dal country (non a caso un certo Johnny Cash decise di coverizzare un loro brano), al soul, dal blues al jazz (Josh è pur sempre il figlio del grande contrabbassista Charlie Haden).
Il concerto è semplicemente commovente, e quando la band lascia il palco dopo una struggente “Untitled #1”, è richiamata a gran voce per degli inevitabili bis. E’ il turno dell’inedita “Fighter” e del gran finale affidato ad una incredibile “Spiritual”, una delle canzoni più drammatiche del repertorio (“Jesus / If you hear / My last breath / Don’t leave me here / Left to die a lonely death”), che – basta guardarsi attorno – provoca brividi lungo la schiena a tutti i presenti. A breve suoneranno in Italia: se potete, fatevi un favore…non perdeteveli!
autore: Daniele Lama