Il Windmill è un locale piccolissimo, semi nascosto in una traversa di Brixton Hill. Non è quello che definireste un posto “cool”, col suo aspetto più da centro sociale berlinese che da ritrovo per hipster-radical-chic. Non ha un vero e proprio palco, ma ha un impianto discreto e la reputazione di essere un posto dove la band amano suonare. Stasera c’è un evento speciale. Si celebra (così come in altre città in tutto il mondo) Elliott Smith, al decimo anniversario dalla sua scomparsa. Una serata-omaggio al cantautore americano, ma anche un modo per raccogliere fondi da destinare a Mind Charity, associazione che supporta le persone affette da disturbi mentali. E’ sold out da mesi, e infatti la saletta è stracolma. Sul palco si alternano band e solisti che si cimentano in brani del proprio repertorio e – sopratutto – in cover del songwriter americano.
Non male gli All American Girl (bella la loro cover di “Angel In The Snow”), davvero emozionante la performance solista di Dexy K (leader della band locale Sweetheart Contract), che regala ad un pubblico in religioso silenzio delle splendide versioni di “Angeles” e “Waltz #2”. Dopo un cambio palco inspiegabilmente prolungato, alle dieci passate, Damon Gough aka Badly Drawn Boy, cappellino di lana di ordinanza e drink in mano, si avvicina al microfono. Esordisce con un “stasera non farò nessun pezzo di Elliott”, che provoca i primi mormorii tra la folla. Poi inizia a suonare un giro di accordi, e racconta del suo rapporto con Elliott, di come lo stimasse, di come gli faccia strano pensare che fossero nati lo stesso anno (entrambi classe ’69) ma che Elliott sia morto già da dieci anni ormai.
Sempre continuando a suonare gli stessi accordi, legge una sorta di poesia sulla morte, non particolarmente ispirata, a dire il vero. Damon continua un monologo-fiume finendo anche abbondantemente off-topic, quando decide di raccontarci per filo e per segno del suo memorabile primo incontro di Beck (che considera un vero e proprio idolo). Saranno passati almeno venti minuti, quando dal pubblico si alza la voce di uno spettatore deluso, che se ne esce con un “tutto questo a Elliott avrebbe fatto cacare!”. E’ la svolta della serata: Damon, che fino a questo momento era stato tutto sommato “tranquillo” (sebbene in preda a un’inarrestabile logorrea alcolica) s’incazza di brutto. Interrompe (finalmente) il suo giro di accordi e inizia a inveire contro questo ragazzo, insultandolo pesantemente. Lo invita ad avvicinarsi e chiedere scusa, ma il ragazzo non ne vuole sapere. Arriva a proporgli di regalargli la sua chitarra in cambio di scuse pubbliche, ma niente. Tra mille improperi Damon allora decide di attaccare a suonare un pezzo. E’ “The Shining”. Il pubblico gioisce, ma solo fino alla fine della prima strofa. Si, perché il nostro decide di intervallare ogni strofa della canzone – finendo ovviamente per rovinarla – con una serie di insulti irripetibili al povero spettatore (che intanto aveva lasciato la sala), arrivando ad augurarsi la sua morte.
Il pubblico è diviso, c’è chi applaude, e chi lascia il locale insultando il cantautore. Il concerto prosegue, ma la tensione è ormai altissima. Dough alterna canzoni (tra cui una non particolarmente memorabile “Born in the UK”) a monologhi sempre più sconnessi. Quando a salire sul palco a portare la sua testimonianza è Tom Rothrock (produttore di Elliott Smith, ma anche dello stesso Badly Drawn Boy e di Beck, tra gli altri) sembra tornata la pace, anche se l’idea di assistere ad un vero e proprio concerto sembra ormai tramontata. Sul finale Damon si scusa di essersi comportato da stronzo, ma aggiunge che questa per lui era una serata speciale (“credo di avere il diritto di comportarmi in maniera emotiva, in occasioni come questa”). Imbraccia la chitarra e ci regala una splendida “In Safe Hands”, a dimostrazione che sotto quella scorza spinosa si nasconde (ancora) un grande talento. In ogni caso una performance difficile da dimenticare, nel bene e nel male.
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autore: Daniele Lama