Le Au Revoir Simone sono sul palco quando arrivo al Circolo degli Artisti. È la seconda volta che suonano a Roma, e la cosa più interessante è mettere vicine le immagini di tre anni fa accanto a quelle di adesso.
“Sono diventate più brave” dico a un ragazzo accanto a me, durante la prova microfoni. “Anche molto più belle” dice lui. E ha ragione.
Forse un po’ per invidia femminile avevo sempre considerato il trio di Brooklyn alla stregua delle magliette della Benetton: carine da vedere insieme e abbastanza anonime prese singolarmente. Quando mi siedo a uno dei tavolini del giardino e Annie Hart si avvicina da sola per cominciare l’intervista, devo ammettere di aver pensato il falso.
Una alla volta ci raggiungono anche Erika Forster e Heather D’Angelo.
Un quarto d’ora buono a chiacchierare di calze, outfit per le mezze stagioni, trend del prossimo inverno. La parola più inflazionata è ‘cute’, carino. Sembrerebbe un circolo frivolo per dame, ma è proprio questo la forza delle ragazze che mi trovo difronte: nel Cinquecento la chiamavano ‘sprezzatura’ ed era la dote che il Cortegiano doveva avere per dissimulare estrema naturalezza e spontaneità in tutto ciò che faceva.
Le Au Revoir Simone sono musiciste ormai al decimo anno di attività, il loro ultimo disco, Move in Spectrums, festeggia bene la prima decade con ottime recensioni e un’effettiva crescita artistica di tutte le componenti della band, anche dal punto di vista del live.
Quello che nel mondo indie in genere dura poche stagioni, loro lo hanno protratto con coscienza e senza neppure troppi sforzi apparenti. Delle musiciste realizzate, dunque, ma anche di più.
Cosa è successo nel frattempo, da un album all’altro? Vite parallele, a quanto pare.
“Come per l’album precedente, anche questa volta la mia fonte di ispirazione è stata la notte“, dice Annie. “Negli ultimi tre anni però sono diventata madre, così il mio punto di vista su questo stesso argomento è radicalmente cambiato“.
“Per me invece, -aggiunge Erika- di grande ispirazione è stata la musica dance, soprattutto la discomusic e le atmosfere da club“.
Nei tre anni che separano Still Night Still Light in effetti Erika è l’unica delle tre ad aver coltivato un progetto musicale parallelo, producendo un EP movimentato e luminoso sotto il nome di Erika Spring. “Ma soprattutto sono andata spesso a ballare. Ho chiesto alla musica un’energia soprattutto fisica e l’ho ricevuta“.
Heather invece dice di essersi ispirata a Bjork, “ma ho dedicato soprattutto questi anni sabbatici dalla musica a riprendere la mia vecchia passione per la biologia, conseguendo definitivamente la laurea. Ho partecipato a convegni e seminari, ho spesso esposto risultati di ricerche personali. La sensazione era però molto straniante” -ammette- “gli accademici continuavano a guardarmi dall’alto al basso perché in quel momento ero una di loro ma non solo. La gente ti guarda sempre con sospetto quando non riesce ad inquadrarti in un solo contesto, soprattutto se non capisce quello che hai fatto fino a quel momento, invece di chiuderti nello studio in maniera totalizzante. Ma se sono cresciuta in questi tre anni è stato proprio grazie a questa esperienza: passi dall’essere un musicista di successo che fa concerti in tutto il mondo e viaggia moltissimo, magari viene riconosciuto dalla gente, mentre alle conferenze alle quali ho partecipato nessuno aveva idea di chi fossi, nessuno mi cercava né mi rivolgeva la parola. È stata una bella lezione di umiltà per me.
In realtà musica e scienza hanno moltissimo in comune, basti solo pensare che la realizzazione di un disco è una composizione di elementi diversi, una combinazione che porta poi a un risultato totalmente diverso da quello costituito dalla semplice somma degli elementi iniziali.
E sembra proprio questa la formula giusta, non solo per le canzoni del loro nuovo disco, ma proprio nel modo in cui le tre Simone hanno ricominciato a lavorare insieme, ciascuna immettendo mai come prima le proprie peculiari esperienze di vita.
“Un’altra cosa interessante degli ultimi anni– aggiunge Annie,- è stato notare quanto stesse cambiando lo scenario intorno a noi. Siamo tre ragazze di Brooklyn, quindi possiamo a tutti gli effetti definirci una band di Brooklyn. Se prima dovevamo sempre muoverci altrove per ascoltare live e vivere un po’ la musica, ad esempio nel lower east side, da un po’ di anni a questa parte la scena si è spostata verso di noi. Siamo state quindi completamente sommerse da stimoli, anche quando non eravamo noi a cercarli”.
Poi l’immancabile domanda sui Social Media. Mi risponde Erika.
“Fondamentali. Offrono l’opportunità a band indipendenti di essere ascoltate e conosciute in tutto il mondo alla pari di una grande band distribuita da una major. Che poi è quello che ci piace di più: entrare a far parte con le nostre canzoni nella vita della gente. Come una colonna sonora“.
E proprio l’OST di un indie movie sembra Move in Spectrums al primo ascolto. Compatto e coerente, vive soprattutto dell’opposizione Dark Light, dove questo secondo elemento sta anche per leggerezza, un galleggiamento della melodia sopra i toni più scuri e pesanti dei sintetizzatori sempre fedeli alla scuola pop/rock anni Ottanta.
https://www.facebook.com/aurevoirsimoneband
autore: Olga Campofredda