Più che l’ennesimo nuovo fenomeno musicale del nord Europa, la danese Agnes Obel è l’ultima e più eclatante esponente di una scia musicale di artisti che tenta di fondere la musica classica da camera con le atmosfere dell’elettronica, del pop moderno e, in questo caso, anche post-moderno.
Come i nostrani Allevi ed Einaudi, e come Nils Frahm, musicalmente il suo più diretto “cugino”, Agnes ha un’impostazione classica, che ha mostrato pienamente con il grande successo dell’album di debutto Philharmonics (2010), un album da oltre 450,000 copie in Europa, diventato album di Platino in Francia e Belgio, d’Oro in Olanda e cinque volte disco di Platino nella nativa Danimarca.
Aventine è il nuovo disco, pubblicato su Play It Again Sam, distribuzione Self, e registrato presso i Chalk Wood Studios di Berlino, dove l’artista vive dal 2006.
Non era facile per Agnes confrontarsi con il grande e improvviso successo di Philharmonics: con grande talento e intuito, ha deciso di farlo giocando nuove carte. C’è ancora il pianoforte di ispirazione classicheggiante, come nella splendida e ispiratissima Chord Left, o in Tokka, oppure nella calda Pass Them By, e c’è naturalmente ancora la sua voce senza tempo da brughiera nordica alla Kate Bush, ma ci sono anche archi, qualche chitarra e persino elettronica: Anne Müller, che ha suonato anche con Nils Frahm, suona il violoncello, Mika Posen dei Timber Timbre suona il violino e la viola in The Curse, Pass Them By e Fivefold, mentre Robert Kondorossi dei Budzillus suona la chitarra in Pass Them By, Gillian Fleetwood introduce la cornamusa in Fuel to Fire, mentre è di Agnes la voce e naturalmente il piano.
La prima cosa che colpisce l’ascolto è l’incisione dei suoni: “Durante il tour di Philharmonics continuavo ad avere idee per la nuova registrazione e volevo esplorare il mondo del violoncello e degli altri strumenti a corda” racconta Agnes. “Ho registrato tutti gli strumenti posizionati vicinissimi fra loro, e così i microfoni: tutto in una piccola stanza, con le voci qui, il pianoforte qui – tutto molto vicino. Sono riuscita ad ottenere qualcosa che sembra grande con questi pochi strumenti”. Ed è davvero come dice: il suono “da stanza” dà a tutti gli strumenti un’innaturale sfondo di silenzio e di vuoto che li rende magici, isolati fra loro eppure complici, con viole e violoncelli a scandire il ritmo più che la melodia, come in The Curse, realizzando dei pezzi veramente di grande atmosfera.
Viene da dire che Chord Left, il primo pezzo, tutto strumentale, getta il ponte fra il precedente disco e questo: ponte che viene “elevato” da Fuel to Fire, dove compaiono subito la voce, alcuni cori e gli archi. Dorian aggiunge leggere percussioni, un cenno iniziale di synth e batteria elettronica, e dichiara definitivamente il viaggio musicale che va dal consumo del pianoforte in tutte le sue possibilità liriche all’esplorazione degli altri strumenti, voce compresa, che qui sembra risuonare non come voce umana che canta, ma come strumento che suona all’unisono con altri.
Aventine, dal chiaro sapore Enyaniano, assesta il ruolo degli archi, viola al primo posto, mentre Run Cried the Crawling non potrà non far pensare alla immensamente triste melodia di Twin Peaks di Badalamenti: né è una chiara citazione, voluta e senz’altro benvenuta.
Le citazioni sembrano continuare, anche se non così esplicite, con il singolo The Curse, immaginaria colonna sonora di un film di Won Kar Wai, e con Pass Them By, omaggio al folk celtico. L’album, fin qui straordinario viaggio multicolore, con Words are Dead riporta invece bruscamente l’ascoltatore nel mondo più intimo di Agnes, quello del pianoforte, e delle evocazioni vocali, mentre Fivefold lo lascia ancora volteggiare nel vento dell’immaginazione fino a Smoke and Mirrors, col suo solo di piano e voce, che magicamente sembra riportarlo, chiudendo il viaggio aperto con medesimi strumenti in Chord Left, nella stanza di Berlino da cui sono partoriti suoni e idee di questo splendido capolavoro.
L’unica critica che può venire in mente per un lavoro così emozionante è in realtà una paura: che questo portentoso talento si bruci subito in due o tre album, trovando tutto il suo dire nei primissimi fuochi. Ma per il momento esorcizziamo la paura con un altro nuovo ascolto di Aventine: rifugiamoci anche noi in questo Aventino del suono classico che sembra sottrarci dal tempo e dallo spazio, come sa fare solo la grande musica.
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autore: Francesco Postiglione