Doug Martsch non è il vostro tipico frontman: a vederlo armeggiare impacciato con il portatile appena pochi minuti prima di salire sul palco, non pensereste mai di essere di fronte a uno dei chitarristi più originali dell’ultimo ventennio. Invece, pur con lo stile ruvido ed essenziale che contraddistingue il proprio leader, i Built to Spill sono lì con Pavement e Dinosaur Jr. nel pantheon della musica indipendente americana.
Il gruppo da Boise, Idaho torna in Italia dopo cinque anni e lo fa con un live tecnicamente perfetto e per certi versi sorprendente.
L’assenza di nuovo materiale (l’ultimo disco, There is No Enemy, risale ormai al 2009) non scoraggia certamente il pubblico che anzi, può godere di una scaletta composta dai classici che ripercorrono la carriera di un gruppo che quest’anno festeggia il ventunesimo anno di attività.
La partenza è lanciatissima con la rabbiosa Goin’ Against Your Mind e subito ci si accorge di come quell’uomo schivo, quasi a disagio tra la folla, una volta sul palco sia un animale completamente diverso, ondeggiante in stato di semi-trance con la sua “Strato” mentre il gruppo, che presenta una sezione ritmica completamente rinnovata, lo segue in modo impeccabile.
Le chitarre si intrecciano con la consueta maestria mentre una alla volta si susseguono pietre miliari come Stab, Kicked It in the Sun e Stop the Show dal capolavoro del ’97 “Perfect From Now On”, The Plan, la sognante Liar e il gran finale con Carry the Zero.
Si diceva di un live sorprendente, e la ragione è nella scelta delle cover per l’encore : How Soon Is Now degli Smiths e soprattutto Age of Consent dei New Order, pezzi apparentemente lontani anni luce dalle atmosfere del gruppo (tra Boise e Manchester ci sono un oceano e svariate galassie culturali di distanza) ma che danno una piacevole varietà alla scaletta.
Sicuramente meno spiazzante la meravigliosa cover di Cowgirl in the Sand di Neil Young (del resto una versione di Cortez the Killer era già presente nel Live pubblicato nel 1999) , in cui emerge tutta l’incredibile somiglianza tra la voce di Martsch e quella del mito canadese.
E la chiusura con Car, il primo singolo ufficialmente rilasciato dal gruppo nel lontano 1994, è la degna conclusione di un live davvero entusiasmante.
Sperando che il tour riesca a portare al buon Doug quell’entusiasmo che solo ad aprile, in un’intervista a Pitchfork, sembrava mancare (“The songs were pretty good and I thought those guys did a great job, but I had zero eureka moments. I had no just even happy moments.”) c’è la convinzione di aver assistito all’esibizione di un gruppo ancora in piena forma, per cui non ci resta che attendere fiduciosi il nuovo lavoro previsto per il prossimo anno.
autore: Stefano Leone
foto: Daniele Mancino