Sino a qualche anno fa guardavo con malcelato sospetto quei musicisti affetti da iper-produzione discografica ritenendo, a torto, che ciò fosse dipeso da meri fini commerciali. Col tempo, approfondendo la conoscenza della storia del rock e dintorni, sono arrivato alla conclusione che vi sono artisti (intendendo, ovviamente, l’accezione migliore del termine) capaci di tenere costantemente viva la musa della loro ispirazione.
Comincio da questa constatazione, in quanto su queste pagine, negli scorsi mesi, mi son ritrovato a disquisire più di una volta su Mark Lanegan. Fra l’ultimo album da solista, “Blues Funeral” (2012) ed il recente disco in combutta con Duke Garwood, “Black Pudding”, oltre a varie sue collaborazioni occasionali, tipo quella con Moby, opportunità per parlare del songwriter statunitense, non sono mancate… Stavolta il discorso è leggermente diverso.
Chi apprezza il percorso musicale di Lanegan, sa come il nostro ami confrontarsi anche con il repertorio altrui. Una predisposizione che ha trovato la sua massima espressione nella raccolta “I’ll Take Care of You” del 1999, uno degli apici della carriera del buon Mark. Allora perché non riprovarci? Ed eccoci servita, “Imitations”, una nuova collezione di cover.
Se quella precedente era perlopiù un’ampia panoramica sul cantautorato americano, qui l’attenzione è rivolta, in parte, verso ballate dagli accenti orchestrali. Su questo versante, l’obbiettivo non sempre viene centrato. Da una parte, infatti, troviamo dei bei rifacimenti, come la magnifica “Solitaire” o l’eterea “Lonely Street” appartenenti al catalogo di Andy Williams che emozionano non poco. Meno convincenti appaiono le interpretazioni, ad esempio, di “I’m Not The Loving Kind” di John Cale o della classicissima “Autumn Leaves“, le cui chiavi di lettura non trovano uno sbocco adeguato. A quel punto, si fanno preferire i pezzi dove traspare una maggiore impronta folk-cantautorale, tipo il trittico iniziale “Flatlands” (Chelsea Wolfe), “She’s Gone” (Hall & Oates), “Deepest Shade” (The Twilight Singers), che si muovono su territori a lui più congeniali.
Così gli sporadici passaggi a vuoto, non inficiano troppo il resto del programma. Sarebbe bello tessere, ogni volta, lodi sperticate per opere di autori di cui si conosce il grande talento compositivo ed interpretativo.
La perfezione, però, non è di questo mondo neanche quando si tratta di “imitazioni” tutt’altro che trascurabili.
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autore: LucaMauro Assante