L’heavy metal dei francesi Dagoba, dai toni pessimisti – come indica il titolo di questo loro sesto album – partendo da una maggioritaria, supercompressa impostazione metal contemporanea di matrice statunitense – tipicamente: Lamb of God, Fear Factory, Machine Head – aldilà della buona resa formale complessiva non manca di qualche risvolto interessante quando stempera il ruolo delle chitarre elettriche, cui si affianca la tastiera ed un massiccio lavoro al computer – anche sulla batteria, forse unico vero elemento industrial sopravvissuto agli esordi della band, e parliamo di circa 13 anni fa – ed in questo quadro più vario e a suo modo diciamo sofisticato, ma un attimo meno incisivo rispetto alle band d’oltreoceano, è la voce del cantante e leader Shawter che porta il peso di una tensione brutale, con un cantato molto esposto ed urlato che riprende lo stile delle grandi e buie voci death nordiche anni 90 sia europee che americane, misurandosi all’occorrenza anche con un certo gusto epico, fiero, disperato e conservatore, magari un po’ fuori moda ma che è nel dna della band, come in ‘The Sword‘, ed in ‘The Realm Black’.
Niente di innovativo, ma un nome affidabile del metal europeo al passo coi tempi, quello dei Dagoba, e persino qualche buon brano, tra cui sicuramente ‘I, Reptile‘, in cui la chitarra elettrica di Yves Terzibachian sale sugli scudi con grezze ventate trash finchè la sezione ritmica non esce allo scoperto, brano poi accompagnato da un videoclip tutto in digitale veramente megalomane come in fondo è giusto che sia, e la conferma che il metal si affida sempre più all’elettronica – tipicamente nell’altro fiero singolo: ‘The Great Wonder‘, che sembra fatto apposta per il mercato americano – oltre che ad un massiccio lavoro di postproduzione e missaggio, e persegue deciso ritmiche compresse e inumane che oggi catturano l’attenzione dei giovani, con qua e là inserti al contrario progressivi e ricercati a stemperare i toni.
‘When Winter…‘ è in ogni caso un puro esercizio di violenza in musica, come del resto molto primitiva è anche ‘Kiss me Kraken‘, malgrado l’orgogliosa e belluina apertura melodica del ritornello; altro orpello estremo ben riuscito è ‘Oblivion is for the Living‘, con ritornello cantato pulito che regala un po’ di varietà.
Post Mortem Nihil Est non è assolutamente opera per il pubblico conservatore, dunque, e furbamente mantiene pure una certa facilità d’ascolto malgrado sia come spiegato oggetto senz’altro estremo, con Shawter che canta il più delle volte in growl; piuttosto dopo mezz’ora risulta sinceramente noioso l’arsenale ritmico, con una batteria dal suono e dal ritmo troppo digitalizzato ed ottuso.
I Dagoba sono Shawter (voce), Werther (basso), Frank Costanza (batteria), ed il nuovo chitarrista Yves Terzibachian, che supera molto bene l’esordio con la band.
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autore: Fausto Turi