Era il 26 Luglio, nient’altro che qualche giorno fa. Mentre Erlend Oye dei Kings of Convenience ballava sotto palco con la musica dei Fitness Forever, noi facevamo una chiacchierata con Beatrice Antolini. Subito dopo sale sul palco proprio lei, tra mille strumenti ed un concerto mozzafiato ed energico. Ci parla con tranquillità, sorride, parla di sé e di come, quanto, perché crede nella sua musica. Del perché essere una donna è difficile in un mondo del genere, del cosa ha imparato con la musica e cosa non ha voluto affatto imparare. Nient’altro che Beatrice Antolini.
Iniziamo parlando di te. Sei un’artista – a mio avviso – sfuggente. Una brava musicista ed una brava cantante, parte di bei progetti, ma sempre fuori dagli schemi soliti della scena musicale italiana, quella così detta indipendente. Perché?
Forse gli altri son più bravi! (ride). Son due anni che sono abbastanza ferma, è uscito da poco il mio disco, adesso devo promuoverlo, quindi è un po’ che non mi si vede.
Hai partecipato nel 2009 al progetto degli Afterhours “Il paese è reale”. Si doveva dimostrare una certa solidità della nuova musica italiana. Ormai son passati 4 anni: l’obiettivo è stato raggiunto?
Per un periodo sicuramente sì, si è creata una bella scena indipendente e tutto quanto. Ora come ora non mi sembra tempo di parlare di divisioni indipendente, mainstream e così via. Stiamo vedendo che le cose si stanno molto unendo, equiparando. Difficile per me adesso dividere: io stessa ho fatto un disco molto pop.
Dicevo, son passati già quattro anni. Ed ecco che Manuel Agnelli ci riprova, stavolta non con un disco, ma con un festival.
Sì, me l’ha detto.
A mio avviso è emblematico anche il fatto che da un disco, “Il paese è reale”, si sia passato ad un festival. I dischi, evidentemente, sono diventati robaccia. Ora la musica gioca e guadagna solo dal vivo… no?
Il disco è un biglietto da visita per suonare. Quello che è importante è suonare, fare live, è la cosa più importante in assoluto.
Eppure son piovute le critiche. C’è una divisione abbastanza netta tra chi vede la musica come intrattenimento e chi la vede come cultura. Loro addirittura hanno un manifesto. Tu da che parte staresti?
In questo momento per me le divisioni in certe cose non ci dovrebbero essere, con tutto il rispetto per Manuel che è una persona stimabile ed intelligente. Ti ripeto, io sento pezzi mainstream raffinatissimi e pezzi indie-underground banalissimi. Bisogna stare un po’ più “open”.
Sei soddisfatta del tuo nuovo disco? Come sta andando?
Per adesso ho fatto date di presentazione. A Settembre inizierà il tour nei locali, quando riapriranno. Niente, oggi facciamo un bel concerto, in questo bel posto…
Si chiama “Vivid”. Cos’è che rende il disco “vivido”, “intenso”?
E’ un pochino più a fuoco. Ho voluto semplificare, non essere ostica, perché in un certo senso lo sono, proprio io, come persona, e quindi diciamo che ho cercato di trasformare la materia grezza in un qualcosa di più prezioso, di più raffinato. Un disco come “A due” non lo decidi tu, arriva e basta. In questo disco quel che arrivava l’ho trasformato, non so se ci sono riuscita. Si può sempre migliorare, ma l’intento è stato quello: offrire più osservazione sul pezzo che magari arrivava dall’ispirazione.
Cos’è successo a Beatrice Antolini in questi sette anni di musica? Cosa ha imparato, suonando?
La musica mi è stata una scuola di vita fortissima. Quando vai in giro e ti devi scontrare, costantemente, con la realtà delle cose, con molti uomini, purtroppo, ti devi far rispettare. Sicuramente mi ha rafforzato, la rifarei tutta. Ci sono delle cose brutte, che non mi piacciono, ma è come in tutti i lavori. Sarebbe stato meglio se fossi stato un maschio, questo sicuramente (sorride). Per una donna è un po’ più complicato, si sommano troppe cose, si parla di altro, tante volte hanno tralasciato tante cose che per me sono importanti, per esempio il fatto che sono una produttrice, che le mie cose me le produco, le arrangio e così via. E’ sempre stato visto in secondo piano, sai, tu sei una donna, al massimo canti e non canti neanche troppo bene. A me di cantare bene non me ne frega assolutamente niente. Il mio lavoro è un altro e vorrei che fosse valutato quello: la scrittura, l’arrangiamento, la produzione. Non ci lamentiamo, però, è andata abbastanza bene nonostante tutto.
C’è qualcosa che non hai mai voluto imparare in questi anni?
Io non ho mai approfittato né delle conoscenze né di niente. Ci sono musicisti molto più diplomatici. Io cerco di essere abbastanza “pura” in certe determinate cose. A volte mi va bene, a volte per niente. Son così. Non sono proprio una che dice “facciamoci tutti insieme la nostra scena e suoniamo tutti insieme”. Io sono una che suona le cose sue nel sottoscala e poi ogni tanto esce e vede il mondo, per quanto è possibile. Non mi sento di appartenere a nient’altro che a me e quel che riesco a fare con la musica. Non mi piacciono i clan, non mi piacciono le aggregazioni, soprattutto quelle del “siamo tutti una famiglia”. No, non lo siamo.
Dal palco oggi si vede il mare; eppure ce ne sono sempre meno di palchi dove si suona, qui a Napoli. Cos’è che blocca la musica dal vivo, da queste parti ed in Italia?
Secondo me il disinteresse che c’è nella musica. Per me la gente è così piena di problemi di ogni tipo che figurati cosa gliene frega di spendere altri soldi per un concerto. I soldi stanno finendo. Questa è la cruda realtà, secondo me. La cosa ancora più brutta è che si vedono i trentenni. Vedere i ventenni diventa sempre più difficile. Questo sempre perché hanno dei genitori quarantenni che non riescono ad arrivare a fine mese. Come cambiare tutto ciò? Troppo lungo, troppo. Una cosa però ci tengo a dirla: non bisogna sentirsi condizionati. Non bisogna pensare che siccome tutti dicono che c’è la crisi allora tu sei nella crisi e sei in crisi. Bisogna non pensarci, non farsi prendere da emozioni negative e avere osservazione su di sé e cercare comunque di fare qualcosa. Ogni singolo elemento deve fare qualcosa. Se ognuno crede di essere nella crisi, entra in crisi anch’egli e si fa manovrare, governare facilmente dagli altri. L’importante è sempre l’autogovernarsi, questo sicuramente.
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autore: Alessandro Caiazzo